Si approssima il momento della verità, e cioè il momento in cui si potrà capire qualcosa di più della reale volontà della Regione Puglia di sottoscrivere l'accordo quadro di programma approvato dal consiglio provinciale.
La posta in palio è importantissima, perché se l'intesa verrà raggiunta e sottoscritta, le proposte del consiglio provinciale ispireranno il metodo e la sostanza nella nuova stagione di fondi comunitari, che inizierà nel 2007 per concludersi nel 2016. La gestazione dell'accordo è stata lunga. Cominciarono a parlarne subito dopo le elezioni regionali il governatore Vendola e il presidente della provincia Stallone, entrambi convinti della necessità di un nuovo approccio della programmazione regionale, della necessità di una programmazione agganciata al territorio, e non più calata dall'alto, con il coinvolgimento delle province, delle istituzioni locali, delle forze sociali.
«Fatemi sapere le priorità, e cercheremo di affrontarle», disse in buona sostanza Vendola a Stallone. Non è stato facile definire le priorità, mettere assieme i diversi comuni, le diverse istanze di un territorio provinciale in se stesso complesso, difficile.
L'impianto dell'accordo di programma riflette sostanzialmente quello del patto per l'occupazione e lo sviluppo proposto quale anno fa dalle organizzazioni sindacali: un puntuale elenco delle opere e degli interventi ritenuti strategici per lo sviluppo provinciale, tra cui moltissime opere che, pur da tempo avviate, si sono poi inopinatamente bloccate.
Ci sono voluti quasi due anni perché l'iter della concertazione venisse concluso, però alla fine la bozza dell'accordo è stata approvata dal consiglio provinciale, in una seduta dal sapore quasi storico: nell'occasione vi fu infatti un voto bipartizan (si astenne solo Alleanza Nazionale), a conferma che il lavoro di tessitura e di cesello operato dal presidente Stallone e dal vicepresidente Parisi era riuscito nella difficile impresa di mettere assieme le diverse istanze, scongiurando il rischio che il documento si trasformasse in una lista della spesa.
Sono priorità vere, quelle contenute nella «bozza» e si tratta di vedere adesso se e come la Regione intenderà portarla avanti. È significativo, comunque, che il primo momento di confronto abbia luogo a Foggia: è la Regione che viene nella Puglia Settentrionale, e questo potrebbe essere un buon auspicio: il segnale di una inversione di tendenza, di una programmazione più rispettosa del territorio, delle sue istanze.
Il percorso adesso entra nel vivo. Finalmente.
domenica 26 novembre 2006
Quando la politica decide di non decidere
Il consiglio comunale monotematico dedicato ai problemi della sanità nel capoluogo dauno si è concluso con la più classica delle decisioni: la formazione di una delegazione istituzionale che si incontri con l'assessore regionale alla sanità, Alberto Tedesco, e con il presidente della commissione regionale alla sanità, Dino Marino, per rappresentare loro lo stato in cui versa la sanità a Foggia. Domanda: visto che Marino è un consigliere regionale foggiano, ed Alberto Tedesco viene spesso a Foggia, essendo il capo dei «Socialisti Autonomisti», non si faceva prima e meglio ad invitarli a presenziare al dibattito? Misteri della politica, che spesso decide di non decidere, e di rinviare il tutto a tavoli di concertazione, delegazioni istituzionali, e via discorrendo. Data anche la presenza, in consiglio comunale, di un folto gruppo di medici, tra cui anche due illustri primari, sarebbe stato legittimo attendersi un piano preciso di rilancio della sanità foggiana, che versa in una situazione inquietante.
Ma in tema di rinvii il capolavoro giunge da Palazzo Dogana, protagonista l'assessore provinciale al lavoro, Giuseppe Calamita, che in una riunione con le associazioni di categoria dei datori di lavoro e i sindacati ha affrontato la scottante questione della sicurezza nei cantieri e nei luoghi di lavoro. Tema semplice e drammatico al tempo stesso. Per migliorare la sicurezza nei cantieri occorre rispettare quanto la legge prescrive in materia, cosa che purtroppo non succede con la necessaria puntualità. La provincia di Foggia presenta uno degli indici di incidenti sul lavoro più elevati d'Italia. Anche in questo caso, ci si sarebbe aspettata una riunione operativa, con l'assunzione di impegni, da una parte e dall'altra, per rendere più sicuri i luoghi di lavoro. L'assessore Calamita ha invece proposto la costituzione di un tavolo, e fin qui poco male. Il problema è che al gruppo di lavoro è stato affidato il compito non già di redigere un documento d'impegni per la maggior sicurezza sul lavoro, ma una «bozza». E chi dovrà approvare questa bozza? Non si sa, ma potete scommetterci che sarà fatta una delegazione o un altro tavolo di concertazione che semmai riveda la bozza, in modo da farne una nuova bozza, da sottoporre ad un nuovo tavolo di concertazione.
Intanto, nei cantieri si continua a morire.
Ma in tema di rinvii il capolavoro giunge da Palazzo Dogana, protagonista l'assessore provinciale al lavoro, Giuseppe Calamita, che in una riunione con le associazioni di categoria dei datori di lavoro e i sindacati ha affrontato la scottante questione della sicurezza nei cantieri e nei luoghi di lavoro. Tema semplice e drammatico al tempo stesso. Per migliorare la sicurezza nei cantieri occorre rispettare quanto la legge prescrive in materia, cosa che purtroppo non succede con la necessaria puntualità. La provincia di Foggia presenta uno degli indici di incidenti sul lavoro più elevati d'Italia. Anche in questo caso, ci si sarebbe aspettata una riunione operativa, con l'assunzione di impegni, da una parte e dall'altra, per rendere più sicuri i luoghi di lavoro. L'assessore Calamita ha invece proposto la costituzione di un tavolo, e fin qui poco male. Il problema è che al gruppo di lavoro è stato affidato il compito non già di redigere un documento d'impegni per la maggior sicurezza sul lavoro, ma una «bozza». E chi dovrà approvare questa bozza? Non si sa, ma potete scommetterci che sarà fatta una delegazione o un altro tavolo di concertazione che semmai riveda la bozza, in modo da farne una nuova bozza, da sottoporre ad un nuovo tavolo di concertazione.
Intanto, nei cantieri si continua a morire.
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giovedì 23 novembre 2006
Il terremoto, ventisei anni dopo
Ha fatto bene, il portavoce dei Piccoli Comuni, Virgilio Caivano, a ricordare il ventiseiesimo anniversario del terremoto dell'Irpinia, che sconvolse anche la provincia di Foggia. Anniversario di dolore, ma anche di riflessione, e un po' di rabbia. Ancora una volta, si deve lamentare una Finanziaria che esclude i comuni terremotati del 1980 dalle provvidenze per la ricostruzione.
Non si tratta soltanto di una ingiustizia, ma di un leit-motiv che ha accompagnato tutta la lunga stagione della ricostruzione e che si è risolto per la Capitanata – per la Capitanata tutta – in una beffa, oltre che in un danno.
Lungi da noi la tentazione di voler stilare una graduatoria dei morti e delle distruzioni: furono senz'altro enormi nell'area del cratere, e nemmeno lontanamente paragonabili con quelle patite dei comuni appenninici della Daunia. Il problema riguarda la gestione del post-terremoto, che ha visto la provincia di Foggia pervicacemente esclusa da tante provvidenze. Non solo quelle puntualmente elencate da Caivano. Anche, e soprattutto, quelle che si riferiscono alla reindustrializzazione.
Una parte illuminata della classe dirigente si battè con ostinazione contro quelle scelte del Governo centrale, intuendo che dietro quelle esclusioni vi era in palio una posta assai più grande dell'accesso ad una cospicua mole di finanziamenti pubblici. Le politiche di reindustrializzazione post-sisma mettevano in discussione l'intero apparato delle politiche di intervento straordinario (in senso lato), costruendo, di fatto, un nuovo sistema, per usare il gergo degli economisti, di «convenienze ed opportunità» nel Mezzogiorno centro-orientale.
Per dirla fuori dai denti, senza il terremoto dell'80 e senza gli incentivi per la reindustrializzazione erogati alla Basilicata ed all'Irpinia, sarebbe sorta a Melfi la Fiat? O non in provincia di Foggia? Gli anni Settanta erano stati gli anni dei grandi investimenti nel territorio dauno: la Sofim, l'Alenia. È lecito supporre che – grazie alla particolare e fortunata posizione della provincia di Foggia – quel trend positivo sarebbe proseguito. Il terremoto – più giustamente le politiche di incentivazione industriale che ne seguirono – invece arrestò bruscamente quel processo, il «sistema di convenienze ed opportunità» che aveva fino ad allora, in qualche modo, premiato Foggia trasferì altrove, nelle aree «elette» dagli interventi di reindustrializzazione, tutto il baricentro dello sviluppo industriale del Mezzogiorno centro-orientale.
Non vogliamo scatenare una guerra tra i poveri, per carità. Però, è un dato di fatto che proprio dal 1980 è iniziato, per la Capitanata, quel lento declino che, a ventisei anni di distanza, sembra ancora difficile da contenere.
Non si tratta soltanto di una ingiustizia, ma di un leit-motiv che ha accompagnato tutta la lunga stagione della ricostruzione e che si è risolto per la Capitanata – per la Capitanata tutta – in una beffa, oltre che in un danno.
Lungi da noi la tentazione di voler stilare una graduatoria dei morti e delle distruzioni: furono senz'altro enormi nell'area del cratere, e nemmeno lontanamente paragonabili con quelle patite dei comuni appenninici della Daunia. Il problema riguarda la gestione del post-terremoto, che ha visto la provincia di Foggia pervicacemente esclusa da tante provvidenze. Non solo quelle puntualmente elencate da Caivano. Anche, e soprattutto, quelle che si riferiscono alla reindustrializzazione.
Una parte illuminata della classe dirigente si battè con ostinazione contro quelle scelte del Governo centrale, intuendo che dietro quelle esclusioni vi era in palio una posta assai più grande dell'accesso ad una cospicua mole di finanziamenti pubblici. Le politiche di reindustrializzazione post-sisma mettevano in discussione l'intero apparato delle politiche di intervento straordinario (in senso lato), costruendo, di fatto, un nuovo sistema, per usare il gergo degli economisti, di «convenienze ed opportunità» nel Mezzogiorno centro-orientale.
Per dirla fuori dai denti, senza il terremoto dell'80 e senza gli incentivi per la reindustrializzazione erogati alla Basilicata ed all'Irpinia, sarebbe sorta a Melfi la Fiat? O non in provincia di Foggia? Gli anni Settanta erano stati gli anni dei grandi investimenti nel territorio dauno: la Sofim, l'Alenia. È lecito supporre che – grazie alla particolare e fortunata posizione della provincia di Foggia – quel trend positivo sarebbe proseguito. Il terremoto – più giustamente le politiche di incentivazione industriale che ne seguirono – invece arrestò bruscamente quel processo, il «sistema di convenienze ed opportunità» che aveva fino ad allora, in qualche modo, premiato Foggia trasferì altrove, nelle aree «elette» dagli interventi di reindustrializzazione, tutto il baricentro dello sviluppo industriale del Mezzogiorno centro-orientale.
Non vogliamo scatenare una guerra tra i poveri, per carità. Però, è un dato di fatto che proprio dal 1980 è iniziato, per la Capitanata, quel lento declino che, a ventisei anni di distanza, sembra ancora difficile da contenere.
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mercoledì 22 novembre 2006
Adesso per il rilancio del "Lisa" si punta ai voli charter turistici
«Ma quanto ci avete messo...». Come non dar ragione a Ugo Calvosa, vicepresidente della Itali Air Lines? Dal quattro dicembre si riprendere finalmente a volare, dall'aeroporto Lisa, con il volo Foggia-Milano che potrebbe essere però soltanto l'inizio di un percorso più ampio, destinato a rilanciare seriamente il ruolo dello scalo foggiano.
Per rispondere a Calvosa, bisognerebbe tuttavia girare la domanda prima di tutto alla Seap, alle incredibili lungaggini burocratiche che hanno accompagnato la tormentata vicenda, ad una volontà politica regionale che è sembrata sicuramente molto più tiepida di quella espressa dalle istituzioni locali. Bisognerebbe domandarlo ai baresi, sempre molto sospettosi a proposito del Lisa, nel timore che una eventuale crescita della domanda e dell'offerta di voli aerei nella Puglia Settentrionale possano mettere in ombra l'aeroporto di Palese.
L'impressione che si è avuta ieri, durante la presentazione del volo che si è tenuta presso la sede dell'Associazione Provinciale degli Industriali di Capitanata, è che però questa volta le cose sembrano marciare per il verso giusto. Prima di tutto nel senso che quella «rete» o se preferite di quelle sinergie, che nella storia recente del Lisa sono state piuttosto carenti. È per esempio importante l'appoggio, dichiarato e ribadito ieri mattina, dell'Assindustria che per bocca del suo presidente, Eliseo Zanasi, ha annunciato l'istituzione di un «punto d'ascolto» negli uffici dell'associazione di categoria, finalizzato proprio alla promozione ed alla divulgazione del volo. L'Assindustria ha anche manifestato l'interesse degli industriali alla possibilità di voli diretti con le isole, in modo da bypassare lo scalo di Napoli, che costituisce attualmente uno snodo obbligato per i foggiani diretti in Sicilia ed in Sardegna.
Le quotazioni dell'aeroporto foggiano segnano ormai una tendenza al rialzo. Non è soltanto ottimismo di facciata, ma l'espressione d'una volontà concreta, importante: ritenere il Foggia-Milano il primo passo d'un percorso.
Molto dipenderà, ovviamente, dal successo dell'iniziativa che dovrà fare i conti, adesso, con la reale domanda che il territorio esprimerà. I precedenti, legati soprattutto al Foggia-Milano gestito dalla Federico II Airways, non sono mica tanto incoraggianti. Si disse allora che lo scarso entusiasmo manifestato dai foggiani sul volo era determinato soprattutto dagli orari, più comodi per i milanesi che volessero scendere a Foggia che non nella tratta inversa. Sta di fatto che la compagnia aerea voluta dall'allora amministrazione di centrodestra del comune di Foggia è fallita soprattutto a causa della scarsa domanda, e dei costi elevati del servizio.
Questa volta si parte in modo del tutto diverso. Il volo è stato «commissionato» ad un vettore selezionato dopo lo svolgimento di una gara d'appalto. La Promodaunia ripianerà le perdite d'esercizio, verificando dopo un certo lasso di tempo la concreta esistenza di una domanda in grado di sostenere il volo.
Michele Galante, presidente della Promodaunia, la società costituita dalla Provincia e dalla Camera di Commercio poco prima del fallimento del tentativo operato dal Comune di Foggia, ha manifestato una cauta fiducia: «Spero che questo progetto non sia come il parto di Minerva dalla testa di Giove, ma che duri, cresca e si espanda, grazie all’apporto delle forze sociali ed istituzionali».
Le premesse sono positive, tanto che la stessa Itali Air Lines pensa ad una possibile espansione della sua presenza a Foggia. Il vicepresidente Calvosa ne ha fatto espressamente riferimento nell'incontro di ieri, parlando della possibilità di utilizzare lo scalo foggiano, il sabato e la domenica, ovvero nei giorni in cui il volo Foggia-Milano non verrà effettuato, per voli charter turistici da e per il Gargano. Potrebbe essere una buona idea, visto che da tempo gli operatori turistici del promontorio hanno segnalato questa necessità, adombrando addirittura la possibilità della costruzione di un nuovo scalo, più vicino alle località turistiche.
Anche in questo caso, però, si tratta di individuare e di consolidare una domanda, questione di cui non può occuparsi la compagnia da sola, ma che presuppone l'esistenza – come ha sottolineato Calvosa – di un network, dii una rete. Il soggetto più idoneo a far questo sembra essere proprio la Promodaunia, costituita con il fine di promuovere il marketing territoriale. Una bella sfida, non c'è che dire.
Per rispondere a Calvosa, bisognerebbe tuttavia girare la domanda prima di tutto alla Seap, alle incredibili lungaggini burocratiche che hanno accompagnato la tormentata vicenda, ad una volontà politica regionale che è sembrata sicuramente molto più tiepida di quella espressa dalle istituzioni locali. Bisognerebbe domandarlo ai baresi, sempre molto sospettosi a proposito del Lisa, nel timore che una eventuale crescita della domanda e dell'offerta di voli aerei nella Puglia Settentrionale possano mettere in ombra l'aeroporto di Palese.
L'impressione che si è avuta ieri, durante la presentazione del volo che si è tenuta presso la sede dell'Associazione Provinciale degli Industriali di Capitanata, è che però questa volta le cose sembrano marciare per il verso giusto. Prima di tutto nel senso che quella «rete» o se preferite di quelle sinergie, che nella storia recente del Lisa sono state piuttosto carenti. È per esempio importante l'appoggio, dichiarato e ribadito ieri mattina, dell'Assindustria che per bocca del suo presidente, Eliseo Zanasi, ha annunciato l'istituzione di un «punto d'ascolto» negli uffici dell'associazione di categoria, finalizzato proprio alla promozione ed alla divulgazione del volo. L'Assindustria ha anche manifestato l'interesse degli industriali alla possibilità di voli diretti con le isole, in modo da bypassare lo scalo di Napoli, che costituisce attualmente uno snodo obbligato per i foggiani diretti in Sicilia ed in Sardegna.
Le quotazioni dell'aeroporto foggiano segnano ormai una tendenza al rialzo. Non è soltanto ottimismo di facciata, ma l'espressione d'una volontà concreta, importante: ritenere il Foggia-Milano il primo passo d'un percorso.
Molto dipenderà, ovviamente, dal successo dell'iniziativa che dovrà fare i conti, adesso, con la reale domanda che il territorio esprimerà. I precedenti, legati soprattutto al Foggia-Milano gestito dalla Federico II Airways, non sono mica tanto incoraggianti. Si disse allora che lo scarso entusiasmo manifestato dai foggiani sul volo era determinato soprattutto dagli orari, più comodi per i milanesi che volessero scendere a Foggia che non nella tratta inversa. Sta di fatto che la compagnia aerea voluta dall'allora amministrazione di centrodestra del comune di Foggia è fallita soprattutto a causa della scarsa domanda, e dei costi elevati del servizio.
Questa volta si parte in modo del tutto diverso. Il volo è stato «commissionato» ad un vettore selezionato dopo lo svolgimento di una gara d'appalto. La Promodaunia ripianerà le perdite d'esercizio, verificando dopo un certo lasso di tempo la concreta esistenza di una domanda in grado di sostenere il volo.
Michele Galante, presidente della Promodaunia, la società costituita dalla Provincia e dalla Camera di Commercio poco prima del fallimento del tentativo operato dal Comune di Foggia, ha manifestato una cauta fiducia: «Spero che questo progetto non sia come il parto di Minerva dalla testa di Giove, ma che duri, cresca e si espanda, grazie all’apporto delle forze sociali ed istituzionali».
Le premesse sono positive, tanto che la stessa Itali Air Lines pensa ad una possibile espansione della sua presenza a Foggia. Il vicepresidente Calvosa ne ha fatto espressamente riferimento nell'incontro di ieri, parlando della possibilità di utilizzare lo scalo foggiano, il sabato e la domenica, ovvero nei giorni in cui il volo Foggia-Milano non verrà effettuato, per voli charter turistici da e per il Gargano. Potrebbe essere una buona idea, visto che da tempo gli operatori turistici del promontorio hanno segnalato questa necessità, adombrando addirittura la possibilità della costruzione di un nuovo scalo, più vicino alle località turistiche.
Anche in questo caso, però, si tratta di individuare e di consolidare una domanda, questione di cui non può occuparsi la compagnia da sola, ma che presuppone l'esistenza – come ha sottolineato Calvosa – di un network, dii una rete. Il soggetto più idoneo a far questo sembra essere proprio la Promodaunia, costituita con il fine di promuovere il marketing territoriale. Una bella sfida, non c'è che dire.
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Polemiche e contrasti sull'altà capacità ferroviaria
Il giorno dopo è il giorno delle polemiche, come quasi sempre accade, in questa città. Il giorno dopo che Rete Ferroviaria Italiana ha presentato a Foggia lo studio di fattibilità per l'alta capacità ferroviaria scende il campo il centrodestra, con parole di fuoco. Tuona il consigliere regionale di Alleanza Nazionale, Roberto Ruocco: «L’esibizione foggiana di Ministri, Governatori ed affini per la presentazione di un progetto come l’Alta Capacità Napoli-Bari, che colpirà ancora una volta Foggia e la Capitanata emarginandole dalle grandi linee di comunicazione ferroviaria e colpendole pesantemente anche sul versante occupazionale è stata una vergognosa beffa che ci si sarebbe dovuto e potuto risparmiare».
È però necessario che le polemiche lascino adesso posto ad un atteggiamento più costruttivo e più unitario. Sono in molti a non condividere il generale ottimismo (che non è, comunque del Quotidiano di Foggia) con cui sono stati commentati gli esiti del summit dell'altro ieri.
Tanto più che, ad onta delle aperture e delle dichiarazioni possibiliste che si sono succedute l'altro giorno a Palazzo Dogana, la sostanza del progetto, sponsorizzato dal Ministero delle Infrastrutture e dalle Regioni Puglia e Campania è che la «bretella foggiana» costituisce un aspetto tutt'altro che secondario e che appare scarsamente praticabile l'ipotesi formulata nel corso dei lavori (ma dalla parte «foggiana») circa il possibile sdoppiamento tra l'aspetto che riguarda lo scalo merci e quello che riguarda il traffico passeggeri.
DIFFICILE LO SDOPPIAMENTO MERCI – PASSEGGERI
Secondo questa ipotesi, la «bretella» servirebbe ad alimentare esclusivamente un nuovo scalo merci, da realizzarsi a Borgo Incoronata, mentre per il traffico passeggeri resterebbe «abilitata» la stazione attuale. Una idea suggestiva, ma difficilmente praticabile, in quanto le previsioni di incremento dei volumi di traffico sono piuttosto contenute per quanto riguarda i convogli merci, mentre sono sensibilmente più elevate per quanto riguarda il traffico passeggeri: l'impresa, insomma, non varebbe la spesa.
La sola concreta apertura prodottasi nel summit foggiano è stata rappresentata dal riconoscimento del valore non formale dei tavoli locali di concertazione, che costituiscono il metodo scelto dal Ministero e dalla due Regioni interessate, per discutere ed approfondire le scelte che dovranno ispirare la progettazione esecutiva. Va sottolineato, in proposito, che seppure inserita nel documento delle priorità defininito dal Ministero, la ferrovia ad alta capacità Bari – Napoli si trova ancora allo sradio della progettazione di massima, anzi, più precisamente di fattibilità. Le soluzioni definitive dovranno essere contenute nel progetto esecutivo, che prenderà forma soltanto solo i tavoli locali di concertazione.
Ai quali bisognerà giungere preparati, e, soprattutto, «allineati e coperti» possibilmente definendo una proposta unitaria e condivisa, da parte delle istituzioni locali, dei sindacati, delle associazioni di categoria. Qualcosa già esiste, ed è il buon lavoro fatto da Agenda 21 del Comune di Foggia, e in particolare dal «forum» preposto alla «mobilità sostenibile», che è poi tra i diversi forum tematici quello che ha lavorato più in profondità, e che ha prodotto anche un buon contributo in termini propositivi. Un tavolo tecnico venne istituito, sul finire dello scorso anno, anche a Palazzo Dogana, ma non si sa cosa abbia partorito. È giunto il momento di tirare un po' le fila, e di mettere a punto una proposta alternativa concreta, praticabile.
NECESSARIA UNA PROPOSTA UNITARIA ED CONDIVISA
Ma si tratta anche di andare oltre il tavolo locale di concertazione, per intraprendere un confronto più complessivo e generale con la Regione Puglia e con il Ministero delle Infrastrutture. Ha il sapore d'una vera e propria beffa, come abbiamo già sottolineato ieri, che il piano delle priorità definito dal Ministro Di Pietro preveda, per quanto riguarda la Capitanata, soltanto opere già finanziate da tempo (come il raddoppio della SS. 16) e la famigerata «bretella» che a Foggia nessuno vuole. Sono rimaste escluse da quel documento opere come la costruzione della Diga sul Carapellotto, che hanno già ricevuto il «visto» da parte del comitato Stato – Regioni. L'opera si è bloccata per il più classico degli inghippi procedurali e burocratici. Dato il lungo tempo trascorso dall'approvazione del progetto ad oggi, è necessario adeguare le previsioni progettuali alle novità che sono nel frattempo intervenute sia a livello ambientale che geologico. Ma il consorzio di bonifica non dispone delle risorse necessarie per finanziare il supplemento progettuale. Aveva chiesto a tal fine un mutuo dalla Cassa Depositi e Prestiti e lo aveva anche ottenuto, ma l'erogazione materiale del prestito si è bloccata perchè, nel frattempo, la Cassa ha deciso di non finanziare più un certo tipo di progettazione.
CAPITANATA PENALIZZATA DAL MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE
Dolorose dimenticanze anche sul fronte della grande viabilità: nel programma è incluso il raddoppio della Statale 16 da Foggia a Cerignola, ma non quello da Foggia a San Severo. Escluso anche il completamento della superstrada Garganica, che diversi anni fa era stato progettato e perfino finanziato. Un caso di «tela di Penelope» che, in questo caso, colpisce la provincia di Foggia.
Intervenendo ai lavori di Palazzo Dogana, il Ministro Di Pietro ha detto che nella stesura del documento che elenca le priorità riconosciute dal Ministero non ha volto sconvolgere il lavoro fatto dal suo predecessore. È un atteggiamento comprensibile e perfino condivisibile, perché la programmazione non è come la tela di Penelope, che può farsi e disfarsi da un giorno all'altro. Sarebbe stato però lecito attendersi un più attento monitoraggio ed una maggiore considerazione dei tanti, troppi progetti che sono rimasti incompiuti, pur rispondendo a necessità fondamentali per lo sviluppo del Mezzogiorno. Si tratta spesso di progetti di piccola taglia, che non rientrano nella logica delle «grandi opere» cui si ispirava la politiche delle infrastrutture del Governo Berlusconi, e che Di Pietro ha sostanzialmente scelto di ereditare.
Ma le beffe non possono essere scongiurate semplicemente protestando e soprattutto piangendo dopo che il latte è stato versato.. Vanno, in qualche modo, prevenute. La bozza di accordo di programma quadro approvata dal Consiglio Provinciale è un buon inizio in questa direzione, anche se andrebbe chiesto alla Regione Puglia se e quando intende metterla in discussione. Il 2007 – anno in cui verrà avviato il nuovo regime dei fondi strutturali dell'Unione Europea - è ormai alle porte. La Regione ha già varato il Documento di Programmazione Strategica, che dev'essere approfondito adesso ai diversi livelli territoriali. La bozza dell'accordo è stata inviata al governo regionale da ormai diversi mesi, ma da Bari ancora non giunge nessun segnale.
Ma non basta soltanto confrontarsi con la Regione: è necessario che un tavolo di apra anche con il Ministero delle Infrastrutture.
La vertenza ferroviaria costituisce, sotto questo profilo, un banco di prova. Se vogliamo, il primo banco di prova.
È stato giustamente sottolineato che il progetto dell'alta capacità ferroviaria possiede una valenza di portata addirittura storica per la Puglia e la Campania. Non si vede perché da questa svolta epocale debbano restare tagliate fuori proprio Foggia e la sua provincia.
È però necessario che le polemiche lascino adesso posto ad un atteggiamento più costruttivo e più unitario. Sono in molti a non condividere il generale ottimismo (che non è, comunque del Quotidiano di Foggia) con cui sono stati commentati gli esiti del summit dell'altro ieri.
Tanto più che, ad onta delle aperture e delle dichiarazioni possibiliste che si sono succedute l'altro giorno a Palazzo Dogana, la sostanza del progetto, sponsorizzato dal Ministero delle Infrastrutture e dalle Regioni Puglia e Campania è che la «bretella foggiana» costituisce un aspetto tutt'altro che secondario e che appare scarsamente praticabile l'ipotesi formulata nel corso dei lavori (ma dalla parte «foggiana») circa il possibile sdoppiamento tra l'aspetto che riguarda lo scalo merci e quello che riguarda il traffico passeggeri.
DIFFICILE LO SDOPPIAMENTO MERCI – PASSEGGERI
Secondo questa ipotesi, la «bretella» servirebbe ad alimentare esclusivamente un nuovo scalo merci, da realizzarsi a Borgo Incoronata, mentre per il traffico passeggeri resterebbe «abilitata» la stazione attuale. Una idea suggestiva, ma difficilmente praticabile, in quanto le previsioni di incremento dei volumi di traffico sono piuttosto contenute per quanto riguarda i convogli merci, mentre sono sensibilmente più elevate per quanto riguarda il traffico passeggeri: l'impresa, insomma, non varebbe la spesa.
La sola concreta apertura prodottasi nel summit foggiano è stata rappresentata dal riconoscimento del valore non formale dei tavoli locali di concertazione, che costituiscono il metodo scelto dal Ministero e dalla due Regioni interessate, per discutere ed approfondire le scelte che dovranno ispirare la progettazione esecutiva. Va sottolineato, in proposito, che seppure inserita nel documento delle priorità defininito dal Ministero, la ferrovia ad alta capacità Bari – Napoli si trova ancora allo sradio della progettazione di massima, anzi, più precisamente di fattibilità. Le soluzioni definitive dovranno essere contenute nel progetto esecutivo, che prenderà forma soltanto solo i tavoli locali di concertazione.
Ai quali bisognerà giungere preparati, e, soprattutto, «allineati e coperti» possibilmente definendo una proposta unitaria e condivisa, da parte delle istituzioni locali, dei sindacati, delle associazioni di categoria. Qualcosa già esiste, ed è il buon lavoro fatto da Agenda 21 del Comune di Foggia, e in particolare dal «forum» preposto alla «mobilità sostenibile», che è poi tra i diversi forum tematici quello che ha lavorato più in profondità, e che ha prodotto anche un buon contributo in termini propositivi. Un tavolo tecnico venne istituito, sul finire dello scorso anno, anche a Palazzo Dogana, ma non si sa cosa abbia partorito. È giunto il momento di tirare un po' le fila, e di mettere a punto una proposta alternativa concreta, praticabile.
NECESSARIA UNA PROPOSTA UNITARIA ED CONDIVISA
Ma si tratta anche di andare oltre il tavolo locale di concertazione, per intraprendere un confronto più complessivo e generale con la Regione Puglia e con il Ministero delle Infrastrutture. Ha il sapore d'una vera e propria beffa, come abbiamo già sottolineato ieri, che il piano delle priorità definito dal Ministro Di Pietro preveda, per quanto riguarda la Capitanata, soltanto opere già finanziate da tempo (come il raddoppio della SS. 16) e la famigerata «bretella» che a Foggia nessuno vuole. Sono rimaste escluse da quel documento opere come la costruzione della Diga sul Carapellotto, che hanno già ricevuto il «visto» da parte del comitato Stato – Regioni. L'opera si è bloccata per il più classico degli inghippi procedurali e burocratici. Dato il lungo tempo trascorso dall'approvazione del progetto ad oggi, è necessario adeguare le previsioni progettuali alle novità che sono nel frattempo intervenute sia a livello ambientale che geologico. Ma il consorzio di bonifica non dispone delle risorse necessarie per finanziare il supplemento progettuale. Aveva chiesto a tal fine un mutuo dalla Cassa Depositi e Prestiti e lo aveva anche ottenuto, ma l'erogazione materiale del prestito si è bloccata perchè, nel frattempo, la Cassa ha deciso di non finanziare più un certo tipo di progettazione.
CAPITANATA PENALIZZATA DAL MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE
Dolorose dimenticanze anche sul fronte della grande viabilità: nel programma è incluso il raddoppio della Statale 16 da Foggia a Cerignola, ma non quello da Foggia a San Severo. Escluso anche il completamento della superstrada Garganica, che diversi anni fa era stato progettato e perfino finanziato. Un caso di «tela di Penelope» che, in questo caso, colpisce la provincia di Foggia.
Intervenendo ai lavori di Palazzo Dogana, il Ministro Di Pietro ha detto che nella stesura del documento che elenca le priorità riconosciute dal Ministero non ha volto sconvolgere il lavoro fatto dal suo predecessore. È un atteggiamento comprensibile e perfino condivisibile, perché la programmazione non è come la tela di Penelope, che può farsi e disfarsi da un giorno all'altro. Sarebbe stato però lecito attendersi un più attento monitoraggio ed una maggiore considerazione dei tanti, troppi progetti che sono rimasti incompiuti, pur rispondendo a necessità fondamentali per lo sviluppo del Mezzogiorno. Si tratta spesso di progetti di piccola taglia, che non rientrano nella logica delle «grandi opere» cui si ispirava la politiche delle infrastrutture del Governo Berlusconi, e che Di Pietro ha sostanzialmente scelto di ereditare.
Ma le beffe non possono essere scongiurate semplicemente protestando e soprattutto piangendo dopo che il latte è stato versato.. Vanno, in qualche modo, prevenute. La bozza di accordo di programma quadro approvata dal Consiglio Provinciale è un buon inizio in questa direzione, anche se andrebbe chiesto alla Regione Puglia se e quando intende metterla in discussione. Il 2007 – anno in cui verrà avviato il nuovo regime dei fondi strutturali dell'Unione Europea - è ormai alle porte. La Regione ha già varato il Documento di Programmazione Strategica, che dev'essere approfondito adesso ai diversi livelli territoriali. La bozza dell'accordo è stata inviata al governo regionale da ormai diversi mesi, ma da Bari ancora non giunge nessun segnale.
Ma non basta soltanto confrontarsi con la Regione: è necessario che un tavolo di apra anche con il Ministero delle Infrastrutture.
La vertenza ferroviaria costituisce, sotto questo profilo, un banco di prova. Se vogliamo, il primo banco di prova.
È stato giustamente sottolineato che il progetto dell'alta capacità ferroviaria possiede una valenza di portata addirittura storica per la Puglia e la Campania. Non si vede perché da questa svolta epocale debbano restare tagliate fuori proprio Foggia e la sua provincia.
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martedì 21 novembre 2006
Il destino di una città: fare i conti con la propria storia
Ironia della sorte, conseguenza di un destino cinico e baro? Forse no. Forse non è soltanto una coincidenza che Foggia sia costretta a difendere con i denti due luoghi simbolici della sua storia e del suo passato, come la stazione ferroviaria, che si vorrebbe “bypassare” nel progetto dell'alta capacità ferroviaria, e come la Caserma Miale, che non ospiterà più la scuola di polizia, soppressa per decreto ministeriale.
Due luoghi topici e storici le cui vicende si sono sovente intrecciate, fino al momento più drammatico della storia foggiana, il 31 maggio del 1943 e poi il 22 luglio,, quando la città fu martoriata dal più terrificante bombardamento alleato in Italia dell'ultimo conflitto bellico. La stazione fu del tutto distrutta, assieme a due terzi dell'abitato e a ventiduemila foggiani, molti dei quali avevano cercato scampo dalle bombe proprio nel sottopassaggio della stazione. Fino ad allora era stato un sicuro ricovero, ma non quel giorno, quando venne invaso dal fiume di fiamme che si era sprigionato dopo che era stato colpito un treno adibito al trasporto di carburante. Dalla “Miale”, allora adibita a Caserma di fanteria, quando tutto quell'orrore finalmente finì, uscirono i soldati che recarono i primi soccorsi ad una popolazione decimata e ad una città sventrata.
La lettura della storia dà purtroppo anche il senso d'una geografia che cambia. La stazione foggiana era stata inaugurata il 9 novembre del 1863 dal re in persona, Vittorio Emanuele II, a completamento della ferrovia Ancona – Foggia. Allora le opere si realizzavano cominciando dal Nord, e la stazione di Bari non esisteva ancora. Dopo la tragica estate del 1943, fu ricostruita a tempo di record, in appena otto anni: la nuova stazione ferroviaria venne inaugurata il 31 maggio del 1951. È appena il caso di ricordare che Foggia versò il suo immane tributo alla guerra proprio a causa della funzione nevralgica e strategica del suo nodo ferroviario. Una funzione, purtropp, ignorata e disattesa dalle nuove geografie sancite dalla Regione e dalla protervia di un capoluogo regionale che ha costruito la sua “baricentricità” proprio a scapito della Puglia settentrionale.
La crisi di due luoghi sacri della memoria cittadina segnala, però, anche una crisi d'identità della città, è un amaro indizio di declino, che getta un inquietante presagio sul suo futuro. C'è chi dice che è da provinciali battersi per conservare a tutti i costi quel che c'è. Forse è così, e forse è giusto, come si dice, imparare a pensare in termini di progetto. Ma nessun futuro è possibile recidendo i legami con il passato, con la memoria.
Due luoghi topici e storici le cui vicende si sono sovente intrecciate, fino al momento più drammatico della storia foggiana, il 31 maggio del 1943 e poi il 22 luglio,, quando la città fu martoriata dal più terrificante bombardamento alleato in Italia dell'ultimo conflitto bellico. La stazione fu del tutto distrutta, assieme a due terzi dell'abitato e a ventiduemila foggiani, molti dei quali avevano cercato scampo dalle bombe proprio nel sottopassaggio della stazione. Fino ad allora era stato un sicuro ricovero, ma non quel giorno, quando venne invaso dal fiume di fiamme che si era sprigionato dopo che era stato colpito un treno adibito al trasporto di carburante. Dalla “Miale”, allora adibita a Caserma di fanteria, quando tutto quell'orrore finalmente finì, uscirono i soldati che recarono i primi soccorsi ad una popolazione decimata e ad una città sventrata.
La lettura della storia dà purtroppo anche il senso d'una geografia che cambia. La stazione foggiana era stata inaugurata il 9 novembre del 1863 dal re in persona, Vittorio Emanuele II, a completamento della ferrovia Ancona – Foggia. Allora le opere si realizzavano cominciando dal Nord, e la stazione di Bari non esisteva ancora. Dopo la tragica estate del 1943, fu ricostruita a tempo di record, in appena otto anni: la nuova stazione ferroviaria venne inaugurata il 31 maggio del 1951. È appena il caso di ricordare che Foggia versò il suo immane tributo alla guerra proprio a causa della funzione nevralgica e strategica del suo nodo ferroviario. Una funzione, purtropp, ignorata e disattesa dalle nuove geografie sancite dalla Regione e dalla protervia di un capoluogo regionale che ha costruito la sua “baricentricità” proprio a scapito della Puglia settentrionale.
La crisi di due luoghi sacri della memoria cittadina segnala, però, anche una crisi d'identità della città, è un amaro indizio di declino, che getta un inquietante presagio sul suo futuro. C'è chi dice che è da provinciali battersi per conservare a tutti i costi quel che c'è. Forse è così, e forse è giusto, come si dice, imparare a pensare in termini di progetto. Ma nessun futuro è possibile recidendo i legami con il passato, con la memoria.
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Dal Ministero delle Infrastruttura, per Foggia solo briciole e bypass
Un'altra beffa, o quasi per Foggia e per la sua provincia il documento sulle priorità infrastrutturali della Regione Puglia elaborato dal Ministero delle Infrastrutture. Sono, infatti, solo due le opere che riguardano il territorio provinciale: una, il raddoppio della SS. 16, già finanziato dal precedente governo, l'altra – la famigerata bretella di Foggia destinata a tagliar fuori l'attuale stazione ferroviaria dall'alta capacità ferroviaria Bari – Napoli – che di certo i foggiani non vorrebbero.
Per quanto riguarda la SS.16, il documento rinnova verso il raddoppio tra Foggia e Cerignola una priorità che era già stata riconosciuta dai governi precedenti.
Posizionato tra le opere del Corridoio plurimodale adriatico - Viabilità s.s. 16: Itinerario Foggia – Cerignola , “l’intervento s- si legge nel documento - si riferisce al progetto di ammodernamento a quattro corsie e adeguamento. La lunghezza complessiva è di 33,5 km. Il tracciato in massima parte coincide con la sede attuale della S.S.n°16 ad eccezione di due brevissimi tratti dove si sono rese necessarie piccole varianti al fine di eliminare alcune curve pericolose.”
Il bello, anzi il brutto, arriva quando il documento passa ad illustrare lo “stato dell'arte” del progetto, suddiviso in quattro lotti, il cui valore complessivo ammonta a 136.560 euro. , Sul primo lotto, Foggia-Incoronata 1(dal km 682+000 al km 690+000), con un costo di 23.760 euro, i lavori sono in corso.Il secondo ed il terzo lotto, che vanno, rispettivamente da Incoronata all'incrocio con la SS. 161 2° Lotto (dal km 690+000 al km 700+000), con un costo di 43.380 euro) e dall'incrocio della SS 161a Cerignola (dal km 700+000 al km 709+000 con un costo di 40.280 euro), risultano già aggiudicati con appalto integrato. Lavori in corso anche sul quarto lotto, la Variante di Cerignola (dal km 709+000 al km 715+500, con un costo di 23.100 euro).
È lo stesso documento ministeriali a puntualizzare che “il soggetto aggiudicatore è l’ANAS e le opere sono interamente finanziate,” e che “l’intervento è inserito nel primo programma delle infrastrutture strategiche della Legge Obiettivo e nella Convenzione stipulata tra Regione Puglia e ANAS, con relativo atto aggiuntivo stipulati rispettivamente il 21/11/03 e il 15/12/04 tra la Regione Puglia e ANAS.
Nessun'altra arteria della Capitanata risulta inserito nel programma di priorità, neanche il completamento della Superstrada Garganica che aveva già trovato finanziamento nel programma decennale della grande viabilità, negli anni Ottanta, e nel relativo programma stralcio. Si dovevano soltanto bandire le relative gare ma l'opera, come molte altre, in quegli anni rimase impigliata nel diffuso rallentamento delle opere pubbliche che fece seguito alla bufera di Tangentopoli.
Come si è già detto, l'altra opera che riguarda la Capitanata, anche se di questa sono in molti che vorrebbero farne a meno è quella “bretella” di Foggia compresa nella nuova linea ad alta capacità Napoli – Bari
“Con il Protocollo d’Intesa sottoscritto il 27 luglio 2006 tra i Ministeri delle Infrastrutture e dei Trasporti, le regioni Campania e Puglia, Ferrovie dello Stato ed RFI, - si legge nel documento - sono state individuate le soluzioni di tracciato per la realizzazione di una nuova linea ad alta capacità di estesa pari a 147 Km, capace di ridurre i tempi di percorrenza tra le città di Napoli e Bari a 110 minuti contro le attuali quattro ore.
Lo studio di fattibilità elaborato da RFI prevede interventi per complessivi 5,3 miliardi di Euro. Le tratte che costituiscono parte integrante del progetto sono la variante linea Cancello-Napoli nel comune di Acerra per la sua integrazione con la linea AV/AC (alta velocità – alta capacità , n.d.r.); la linea Cancello-Benevento; la tratta Apice-Orsara di Puglia e la bretella di Foggia.
Nella programmazione ordinaria di RFI è inserito il potenziamento della tratta Apice- Orsara il cui costo ammonta a due milioni e mezzo di euro, di cui circa 213.000 finanziati.
Allo stato attuale la realizzazione è prevista per il 2020.
Ma la dimenticanza più dolorosa e vistosa da parte del Ministero delle Infrastrutture è quella che riguarda gli schemi idrici ed irrigui. Le opere inserite nel programma di priorità sono soltanto tre (l'impianto di potabilizzazione delle acque derivate dall’invaso di Conza della Campania, il completamento del riordino ed ammodernamento degli impianti irrigui ricadenti nel comprensorio dx Ofanto e dx Rendina in Agro di Lavello, la Galleria di Valico Caposele – Pavoncelli bis ). Non hanno trovato posto nel programma le dighe di Piano dei Limiti e del Carapellotto.
Per quanto riguarda la SS.16, il documento rinnova verso il raddoppio tra Foggia e Cerignola una priorità che era già stata riconosciuta dai governi precedenti.
Posizionato tra le opere del Corridoio plurimodale adriatico - Viabilità s.s. 16: Itinerario Foggia – Cerignola , “l’intervento s- si legge nel documento - si riferisce al progetto di ammodernamento a quattro corsie e adeguamento. La lunghezza complessiva è di 33,5 km. Il tracciato in massima parte coincide con la sede attuale della S.S.n°16 ad eccezione di due brevissimi tratti dove si sono rese necessarie piccole varianti al fine di eliminare alcune curve pericolose.”
Il bello, anzi il brutto, arriva quando il documento passa ad illustrare lo “stato dell'arte” del progetto, suddiviso in quattro lotti, il cui valore complessivo ammonta a 136.560 euro. , Sul primo lotto, Foggia-Incoronata 1(dal km 682+000 al km 690+000), con un costo di 23.760 euro, i lavori sono in corso.Il secondo ed il terzo lotto, che vanno, rispettivamente da Incoronata all'incrocio con la SS. 161 2° Lotto (dal km 690+000 al km 700+000), con un costo di 43.380 euro) e dall'incrocio della SS 161a Cerignola (dal km 700+000 al km 709+000 con un costo di 40.280 euro), risultano già aggiudicati con appalto integrato. Lavori in corso anche sul quarto lotto, la Variante di Cerignola (dal km 709+000 al km 715+500, con un costo di 23.100 euro).
È lo stesso documento ministeriali a puntualizzare che “il soggetto aggiudicatore è l’ANAS e le opere sono interamente finanziate,” e che “l’intervento è inserito nel primo programma delle infrastrutture strategiche della Legge Obiettivo e nella Convenzione stipulata tra Regione Puglia e ANAS, con relativo atto aggiuntivo stipulati rispettivamente il 21/11/03 e il 15/12/04 tra la Regione Puglia e ANAS.
Nessun'altra arteria della Capitanata risulta inserito nel programma di priorità, neanche il completamento della Superstrada Garganica che aveva già trovato finanziamento nel programma decennale della grande viabilità, negli anni Ottanta, e nel relativo programma stralcio. Si dovevano soltanto bandire le relative gare ma l'opera, come molte altre, in quegli anni rimase impigliata nel diffuso rallentamento delle opere pubbliche che fece seguito alla bufera di Tangentopoli.
Come si è già detto, l'altra opera che riguarda la Capitanata, anche se di questa sono in molti che vorrebbero farne a meno è quella “bretella” di Foggia compresa nella nuova linea ad alta capacità Napoli – Bari
“Con il Protocollo d’Intesa sottoscritto il 27 luglio 2006 tra i Ministeri delle Infrastrutture e dei Trasporti, le regioni Campania e Puglia, Ferrovie dello Stato ed RFI, - si legge nel documento - sono state individuate le soluzioni di tracciato per la realizzazione di una nuova linea ad alta capacità di estesa pari a 147 Km, capace di ridurre i tempi di percorrenza tra le città di Napoli e Bari a 110 minuti contro le attuali quattro ore.
Lo studio di fattibilità elaborato da RFI prevede interventi per complessivi 5,3 miliardi di Euro. Le tratte che costituiscono parte integrante del progetto sono la variante linea Cancello-Napoli nel comune di Acerra per la sua integrazione con la linea AV/AC (alta velocità – alta capacità , n.d.r.); la linea Cancello-Benevento; la tratta Apice-Orsara di Puglia e la bretella di Foggia.
Nella programmazione ordinaria di RFI è inserito il potenziamento della tratta Apice- Orsara il cui costo ammonta a due milioni e mezzo di euro, di cui circa 213.000 finanziati.
Allo stato attuale la realizzazione è prevista per il 2020.
Ma la dimenticanza più dolorosa e vistosa da parte del Ministero delle Infrastrutture è quella che riguarda gli schemi idrici ed irrigui. Le opere inserite nel programma di priorità sono soltanto tre (l'impianto di potabilizzazione delle acque derivate dall’invaso di Conza della Campania, il completamento del riordino ed ammodernamento degli impianti irrigui ricadenti nel comprensorio dx Ofanto e dx Rendina in Agro di Lavello, la Galleria di Valico Caposele – Pavoncelli bis ). Non hanno trovato posto nel programma le dighe di Piano dei Limiti e del Carapellotto.
Confermato il "bypass" della stazione di Foggia nel progetto della Bari - Napoli
Tutto secondo copione. È andata delusa la speranza di trovare nel ministro delle infrastrutture, Antonio Di Pietro, un “amico” della causa foggiana. Una speranza che si era sedimentata dopo la perentoria presa di posizione assunta dal partito di cui è leader nazionale: Italia dei Valori era scesa in campo senza mezzi termini per bocciare il progetto dell'alta capacità ferroviaria tra Bari e Napoli che prevede il bypassa della stazione ferroviaria del capoluogo dauno.
Per la verità, che sarà molto difficile far modificare il progetto era evidente già entrando nella Sala del Tribunale di Palazzo Dogana che ha ospitato l'intensa giornata di presentazione del progetto. Dappertutto campeggiava il disegno del tracciato che tangibilmente esprimeva la “filosofia” progettuale di Rete Ferroviaria Italiana: una linea retta tra Bari e Napoli, senza più il cosiddetto “baffo” che attualmente porta Foggia dentro il tracciato.
Il confronto che si è delineato è stato subito impari: da un lato il Governo, con il suo autorevole Ministro, Rete Ferroviaria Italia, la Regione Puglia e la Regione Campania, dall'altro le sole istituzioni locali, la Provincia ed il Comune di Foggia. L'impressione della “leggerezza” addirittura dell'isolamento in cui si trovano i maggiori enti locali è stata precisa, inequivocabile, con il Presidente della Provincia ed il Sindaco seduti in platea, a fare da spettatori.
Carmine Stallone e Orazio Ciliberti hanno comunque ribadito il “no” delle istituzioni locali al progetto. Dall'altra parte è stata esposta la tesi già nota: l'alta capacità ferroviaria non taglierà fuori il capoluogo dauno ma per ridurre le distanze rispetto a Bari e non ingolfare ancora di più la stazione ferroviaria di Foggia verrà costruita una nuova stazione, più o meno all'altezza dello “snodo” di Borgo Cervaro.
Di Pietro ha, per la verità, introdotto nella riflessione alcuni elementi nuovi, come quello che riguarda il traffico merci. A giudizio del Ministro, qualora dovesse essere mantenuto il tracciato attuale, la stazione ferroviaria foggiana correrebbe il rischio di restare addirittura intasata dalla crescita esponenziale del traffico. Durante la presentazione sono stati anche forniti i dati quantitativi sull'aumento stimato dei convogli, e sono dati addirittura impressionanti: 144 treni al giorno (118 in più di oggi) sui collegamenti tra Napoli, Benevento, Caserta, Capua e Foggia.
Anche per le merci verranno notevolmente incrementati i servizi: sulla Napoli – Bari - Bologna si passerà dagli attuali 8 a 20 treni al giorno.La “bretella” consentirebbe di concentrare il una zona meno centrale rispetto all'abitato il traffico merci, per il quale si prevede una dimensione “intermodale”: ovvero un nodo nel quale non dovrebbe confluire soltanto il trasporto ferroviaria, ma anche quello su gomma. Ma dove? Qualcuno ha ipotizzato che potrebbe essere interessato l'interporto di Cerignola, che andrebbe così a trovare una sua precisa collocazione nel quadrante dei trasporti pugliesi, ma non sembra una ipotesi realistica, perchè il progetto di Rete Ferroviaria Italia non prevede attualmente investimenti nell'area di Cerignola. La soluzione più verosimile è che anche il “nodo” che riguarda le merci verrà attestato nei pressi della nuova stazione, a Cervaro o giù di lì. Tra i benefici, c'è da mettere in conto comunque le nuove opportunità di sviluppo che si schiuderebbero per l'area industriale di Borgo Incoronata.
Tutto in ogni caso, dovrà essere definito in sede di progettazione esecutiva. “Oggi inizia il confronto vero e proprio”, ha fatto sapere il Ministro, per il quale “ancora non c'è nulla di deciso e di definitivo, ed un ruolo decisivo dovrà essere svolto dai tavoli di concertazione locale, decisi dall'accordo di programma approvato nello scorso mese di luglio dalle Regioni Puglia e Campania. Si tratta di un’occasione di sviluppo – ha detto ancora Di Pietro - che il Mezzogiorno non può perdere. L’incontro odierno apre un percorso di confronto che nasce con l’obiettivo di concertare i passaggi operativi e soprattutto di non mortificare alcun territorio. Si tratta di un punto di partenza e che siamo pronti ad accogliere suggerimenti e istanze per migliorarlo.”
È sembrata una certa apertura rispetto alle istanze di Foggia sulla quale nessuno però deve farsi soverchie illusioni, perchè poco dopo l'ex P.M. di Mani Pulite ha affermato che “comunque nessuno può pensare di farsi la stazione sotto casa, soprattutto quando parliamo di alta velocità e di alta capacità ferroviaria.”
Si tratta di vedere, adesso, come verrà condotta la concertazione. Durante il suo intervento, il Ministro ha fatto sapere che il progetto fa parte del programma delle priorità infrastrutturali elaborato dal Ministero (di cui riferiamo in altra parte della pagina, n.d.r.): ma nella “scheda” che riguarda l'alta capacità ferroviaria tra Bari e Napoli trova espressamente posto quella che viene eufemisticamente definita “bretella di Foggia”.
Come a dire che non si tratta di “concertare” un aspetto secondario, o di dettaglio, del progetto, ma uno dei suoi aspetti chiave. Il che significa che alla concertazione bisognerà andare con un progetto alternativo, con idee chiare, e lungimiranti.
Per la verità, che sarà molto difficile far modificare il progetto era evidente già entrando nella Sala del Tribunale di Palazzo Dogana che ha ospitato l'intensa giornata di presentazione del progetto. Dappertutto campeggiava il disegno del tracciato che tangibilmente esprimeva la “filosofia” progettuale di Rete Ferroviaria Italiana: una linea retta tra Bari e Napoli, senza più il cosiddetto “baffo” che attualmente porta Foggia dentro il tracciato.
Il confronto che si è delineato è stato subito impari: da un lato il Governo, con il suo autorevole Ministro, Rete Ferroviaria Italia, la Regione Puglia e la Regione Campania, dall'altro le sole istituzioni locali, la Provincia ed il Comune di Foggia. L'impressione della “leggerezza” addirittura dell'isolamento in cui si trovano i maggiori enti locali è stata precisa, inequivocabile, con il Presidente della Provincia ed il Sindaco seduti in platea, a fare da spettatori.
Carmine Stallone e Orazio Ciliberti hanno comunque ribadito il “no” delle istituzioni locali al progetto. Dall'altra parte è stata esposta la tesi già nota: l'alta capacità ferroviaria non taglierà fuori il capoluogo dauno ma per ridurre le distanze rispetto a Bari e non ingolfare ancora di più la stazione ferroviaria di Foggia verrà costruita una nuova stazione, più o meno all'altezza dello “snodo” di Borgo Cervaro.
Di Pietro ha, per la verità, introdotto nella riflessione alcuni elementi nuovi, come quello che riguarda il traffico merci. A giudizio del Ministro, qualora dovesse essere mantenuto il tracciato attuale, la stazione ferroviaria foggiana correrebbe il rischio di restare addirittura intasata dalla crescita esponenziale del traffico. Durante la presentazione sono stati anche forniti i dati quantitativi sull'aumento stimato dei convogli, e sono dati addirittura impressionanti: 144 treni al giorno (118 in più di oggi) sui collegamenti tra Napoli, Benevento, Caserta, Capua e Foggia.
Anche per le merci verranno notevolmente incrementati i servizi: sulla Napoli – Bari - Bologna si passerà dagli attuali 8 a 20 treni al giorno.La “bretella” consentirebbe di concentrare il una zona meno centrale rispetto all'abitato il traffico merci, per il quale si prevede una dimensione “intermodale”: ovvero un nodo nel quale non dovrebbe confluire soltanto il trasporto ferroviaria, ma anche quello su gomma. Ma dove? Qualcuno ha ipotizzato che potrebbe essere interessato l'interporto di Cerignola, che andrebbe così a trovare una sua precisa collocazione nel quadrante dei trasporti pugliesi, ma non sembra una ipotesi realistica, perchè il progetto di Rete Ferroviaria Italia non prevede attualmente investimenti nell'area di Cerignola. La soluzione più verosimile è che anche il “nodo” che riguarda le merci verrà attestato nei pressi della nuova stazione, a Cervaro o giù di lì. Tra i benefici, c'è da mettere in conto comunque le nuove opportunità di sviluppo che si schiuderebbero per l'area industriale di Borgo Incoronata.
Tutto in ogni caso, dovrà essere definito in sede di progettazione esecutiva. “Oggi inizia il confronto vero e proprio”, ha fatto sapere il Ministro, per il quale “ancora non c'è nulla di deciso e di definitivo, ed un ruolo decisivo dovrà essere svolto dai tavoli di concertazione locale, decisi dall'accordo di programma approvato nello scorso mese di luglio dalle Regioni Puglia e Campania. Si tratta di un’occasione di sviluppo – ha detto ancora Di Pietro - che il Mezzogiorno non può perdere. L’incontro odierno apre un percorso di confronto che nasce con l’obiettivo di concertare i passaggi operativi e soprattutto di non mortificare alcun territorio. Si tratta di un punto di partenza e che siamo pronti ad accogliere suggerimenti e istanze per migliorarlo.”
È sembrata una certa apertura rispetto alle istanze di Foggia sulla quale nessuno però deve farsi soverchie illusioni, perchè poco dopo l'ex P.M. di Mani Pulite ha affermato che “comunque nessuno può pensare di farsi la stazione sotto casa, soprattutto quando parliamo di alta velocità e di alta capacità ferroviaria.”
Si tratta di vedere, adesso, come verrà condotta la concertazione. Durante il suo intervento, il Ministro ha fatto sapere che il progetto fa parte del programma delle priorità infrastrutturali elaborato dal Ministero (di cui riferiamo in altra parte della pagina, n.d.r.): ma nella “scheda” che riguarda l'alta capacità ferroviaria tra Bari e Napoli trova espressamente posto quella che viene eufemisticamente definita “bretella di Foggia”.
Come a dire che non si tratta di “concertare” un aspetto secondario, o di dettaglio, del progetto, ma uno dei suoi aspetti chiave. Il che significa che alla concertazione bisognerà andare con un progetto alternativo, con idee chiare, e lungimiranti.
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giovedì 16 novembre 2006
Scuola di Polizia, uno smacco per tutti
Una sconfitta amara, senza attenuanti quella che tutto il territorio ha patito per la soppressione della Scuola di Polizia. Ma, comunque, una fine non annunciata, che fino all'ultimo si pensava di poter scongiurare, a prestare fede all'on. Di Gioia, ed alle assicurazioni da questo ottenuto, direttamente dal Ministro Amato. Invece è andata a finire male, e proprio per la ragione che lo stesso parlamentare socialista ha indicato quale ragione sostanziale di molti mali che angustiano il capoluogo dauno ed il resto della provincia: la leggerezza della sua classe dirigente.
Uno smacco per tutti, a cominciare dai parlamentari, molto bravi quando si tratta di diramare comunicati stampa, un poco meno quando si tratta di difendere gli interessi della città.
Uno smacco per le istituzioni locali, che nella difesa della Scuola di Polizia non sono andate al di là del solito fervorino di circostanza, dell'appello inviato al Ministro, quando sarebbe il caso di organizzare pullman - come si usava un tempo - e partire alla volta della Capitale e del Ministero, se non altro per far sentire le proprie ragioni. Appare in questo senso francamente tardiva la richiesta del sindaco Ciliberti di stralciare la posizione di Foggia rispetto a quelle delle altre città interessate dal decreto di soppressione. Si sapeva da tempo che l'orientamento ministeriale era questo. Bisognava agire prima.
Uno smacco soprattutto per la manifesta incapacità della classe dirigente a trovare e praticare soluzioni alternative, che pure erano state trasformate, come la trasformazione della scuola in una struttura formativa di alto livello, espressamente riservata alla formazione degli agenti preposti alla lotta alla criminalità, e Dio solo sa quanto ce ne sia bisogno, in un territorio vessato da rapinatori, spacciatori e chi più ne ha ne metta.
Fa un certo effetto vedere che, mentre la scuola di polizia viene chiusa, alcuni parlamentari (Pepe e Bordo) ripropongono la corte d'appello a Foggia, sempre più improbabile, vista la drammatica crisi in cui è precipitato il sistema giudiziario italiano, ed altri (De Gregorio) invocano per Foggia le stesse misure anticrimine che si stanno varando per Napoli.
Sarebbe stato forse più utile e produttivo difendere la scuola di polizia.
Uno smacco per tutti, a cominciare dai parlamentari, molto bravi quando si tratta di diramare comunicati stampa, un poco meno quando si tratta di difendere gli interessi della città.
Uno smacco per le istituzioni locali, che nella difesa della Scuola di Polizia non sono andate al di là del solito fervorino di circostanza, dell'appello inviato al Ministro, quando sarebbe il caso di organizzare pullman - come si usava un tempo - e partire alla volta della Capitale e del Ministero, se non altro per far sentire le proprie ragioni. Appare in questo senso francamente tardiva la richiesta del sindaco Ciliberti di stralciare la posizione di Foggia rispetto a quelle delle altre città interessate dal decreto di soppressione. Si sapeva da tempo che l'orientamento ministeriale era questo. Bisognava agire prima.
Uno smacco soprattutto per la manifesta incapacità della classe dirigente a trovare e praticare soluzioni alternative, che pure erano state trasformate, come la trasformazione della scuola in una struttura formativa di alto livello, espressamente riservata alla formazione degli agenti preposti alla lotta alla criminalità, e Dio solo sa quanto ce ne sia bisogno, in un territorio vessato da rapinatori, spacciatori e chi più ne ha ne metta.
Fa un certo effetto vedere che, mentre la scuola di polizia viene chiusa, alcuni parlamentari (Pepe e Bordo) ripropongono la corte d'appello a Foggia, sempre più improbabile, vista la drammatica crisi in cui è precipitato il sistema giudiziario italiano, ed altri (De Gregorio) invocano per Foggia le stesse misure anticrimine che si stanno varando per Napoli.
Sarebbe stato forse più utile e produttivo difendere la scuola di polizia.
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venerdì 10 novembre 2006
Mille posti e rischio, tra Foggia ed Ascoli Satriano
Potrebbe essere davvero la svolta per il comparto agro-alimentare della provincia di Foggia. Un comparto in fondo tutto ancora di là da venire, visto che il Tavoliere è il più grande produttore d’Italia di pomodori, ma che l’oro rosso da decenni viene conferito e trasformato dalle industrie conserviere della Campania. Una contraddizione dolorosa, che però la Capitanata conosce e soffre da sempre, e che prima del pomodoro ha avuto come vittima il vino, venduto al Nord, ed usato per “tagliare” ed irrobustire i leggeri vini veneti e lombardi.
La “stagione della concertazione”, dei patti territoriale però qualcosa ha prodotto in questa direzione: due grosse iniziative industriali, previste nell’area industriale di Incoronata ed in quella di Ascoli Satriano. Due conservifici che hanno già avuto il suolo assegnato e che per partire aspettano l’approvazione da parte della Regione del contratto di programma. È questo lo strumento con cui lo Stato, avvalendosi anche dei meccanismi di finanziamento dell’Unione Europea, sostiene le iniziative industriali di particolare rilievi. Tanto per fare un esempio, si avvalgono di contratti di programma a suo tempo sottoscritti, tanto l’Alenia, quanto la Sofim di Foggia.
Il contratto di programma è anche lo strumento che assicura il rispetto del progetto industriale da parte dell’impresa finanziata, con particolare riferimento ai livelli occupazionali: livelli che nel nostro caso sono molto alti, e possono davvero rappresentare un’occasione di rilancio per l’asfittica industria di Capitanata e per il comparto agro-alimentare, colpito in questi giorni dalla tormentata vertenza della SFIR, e dello Zuccherificio di Borgo Incoronata.
Si parla di 350 addetti per lo stabilimento foggiano, ed addirittura di 700 addetti per quello di Ascoli Satriano, per un investimento complessivo di circa 90 milioni di euro, quaranta dei quali dovrebbero essere assicurati dai contratti di programma, su cui la Regione deve pronunciarsi improrogabilmente entro il 31 dicembre.
Ma da Bari non sembra si abbiano intenzioni particolarmente positive. Non c’è ancora nulla di ufficiale, non si sa nemmeno con precisione quanto grande sia la “torta” da suddividere tra le diverse province pugliesi. C’è chi avanza, a mezza bocca, una cifra notevolissima: 480 milioni di euro da assegnare ad attività produttive. Si sa che una prima tranche di questi finanziamenti è stata erogata negli scorsi giorni alle imprese artigiane che operano in provincia di Foggia. Iniziativa lodevolissima, ma che non può ovviamente ritenersi esaustiva di tutto l’impegno regionale.
Si spiega così la rabbia del sindaco di Ascoli Satriano, nonché consigliere provinciale e presidente della commissione consiliare alle attività produttive di Palazzo Dogana. Come pubblichiamo in altra parte del giornale, Rolla sente puzza di bruciato circa la volontà regionale, ed invoca un atteggiamento più proposito da parte del Comune di Foggia e della stessa Amministrazione Provinciale, rilevando come la situazione economica del territorio sia ormai drammatica, e come possa essere addirittura decisiva la partita dei finanziamenti prossimi venturi (tra l’altro ci sarebbero da finanziare anche i completamenti dei patti territoriali, che avrebbero però bisogno di un preventivo monitoraggio).
In passato la Regione non si è mai mostrata particolarmente benigna nei confronti della Capitanata. I due conservifici rappresentano per la Giunta Vendola l’occasione per far capire che davvero, a Bari, si è voltato pagina.
La “stagione della concertazione”, dei patti territoriale però qualcosa ha prodotto in questa direzione: due grosse iniziative industriali, previste nell’area industriale di Incoronata ed in quella di Ascoli Satriano. Due conservifici che hanno già avuto il suolo assegnato e che per partire aspettano l’approvazione da parte della Regione del contratto di programma. È questo lo strumento con cui lo Stato, avvalendosi anche dei meccanismi di finanziamento dell’Unione Europea, sostiene le iniziative industriali di particolare rilievi. Tanto per fare un esempio, si avvalgono di contratti di programma a suo tempo sottoscritti, tanto l’Alenia, quanto la Sofim di Foggia.
Il contratto di programma è anche lo strumento che assicura il rispetto del progetto industriale da parte dell’impresa finanziata, con particolare riferimento ai livelli occupazionali: livelli che nel nostro caso sono molto alti, e possono davvero rappresentare un’occasione di rilancio per l’asfittica industria di Capitanata e per il comparto agro-alimentare, colpito in questi giorni dalla tormentata vertenza della SFIR, e dello Zuccherificio di Borgo Incoronata.
Si parla di 350 addetti per lo stabilimento foggiano, ed addirittura di 700 addetti per quello di Ascoli Satriano, per un investimento complessivo di circa 90 milioni di euro, quaranta dei quali dovrebbero essere assicurati dai contratti di programma, su cui la Regione deve pronunciarsi improrogabilmente entro il 31 dicembre.
Ma da Bari non sembra si abbiano intenzioni particolarmente positive. Non c’è ancora nulla di ufficiale, non si sa nemmeno con precisione quanto grande sia la “torta” da suddividere tra le diverse province pugliesi. C’è chi avanza, a mezza bocca, una cifra notevolissima: 480 milioni di euro da assegnare ad attività produttive. Si sa che una prima tranche di questi finanziamenti è stata erogata negli scorsi giorni alle imprese artigiane che operano in provincia di Foggia. Iniziativa lodevolissima, ma che non può ovviamente ritenersi esaustiva di tutto l’impegno regionale.
Si spiega così la rabbia del sindaco di Ascoli Satriano, nonché consigliere provinciale e presidente della commissione consiliare alle attività produttive di Palazzo Dogana. Come pubblichiamo in altra parte del giornale, Rolla sente puzza di bruciato circa la volontà regionale, ed invoca un atteggiamento più proposito da parte del Comune di Foggia e della stessa Amministrazione Provinciale, rilevando come la situazione economica del territorio sia ormai drammatica, e come possa essere addirittura decisiva la partita dei finanziamenti prossimi venturi (tra l’altro ci sarebbero da finanziare anche i completamenti dei patti territoriali, che avrebbero però bisogno di un preventivo monitoraggio).
In passato la Regione non si è mai mostrata particolarmente benigna nei confronti della Capitanata. I due conservifici rappresentano per la Giunta Vendola l’occasione per far capire che davvero, a Bari, si è voltato pagina.
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La rabbia sindacale: la SFIR ha disatteso gli impegni
Lo sciopero nazionale dei dipendenti della SFIR, tenutosi ieri a Cesena, ha avuto un paio di grandi meriti: prima di tutto a contribuito a “mettere in circolo” la situazione (per tutti molto critica) in cui si dibattono i diversi stabilimenti del gruppo saccarifero; in secondo luogo ha messo a nudo i ritardi, le manchevolezze e le deficienze dei diversi piani di riconversione industriale varati dai vertici aziendali, all’indomani dell’OCM zucchero che, come si ricorderà, imponeva la chiusura, e la conseguente riconversione, degli stabilimenti in eccedenza, tra cui quello di Incoronata.
Ma la situazione è problematica non soltanto negli stabilimenti che dovrebbero essere riconvertiti. Esistono forti problemi anche in quelli che dovrebbe regolarmente lavorare le quote di zucchero assegnate dall’OCM al gruppo SFIR.
LAVORATORI E BIETICOLTORI PROTESTANO INSIEME
“Lo sciopero dei lavoratori del gruppo Sfir e la manifestazione di Cesena – hanno detto i rappresentanti sindacali di Flai-Cgil, Fai-Cisl e Uila-Uil è la risposta all'atteggiamento indecente ed irresponsabile assunto da questo gruppo che ha deciso di disattendere gli impegni assunti in occasione degli accordi conseguenti alla riforma Ocm dello zucchero”.
“Sfir mette in discussione le riconversioni dei siti dimessi – continua l’accusa dei sindacati -, non dà corso agli accordi per la semina utile alla campagna di trasformazione 2007, rendendo impraticabile la continuità produttiva. La possIbile decisione di Sfir di non trasformare un milione e mezzo di quintali di zucchero rimette in discussione l'intera tenuta del comporto saccarifero italiano”.
Alla manifestazione cesenate hanno aderito anche le Associazioni professionali dei bieticoltori per manifestare – è stato detto - “la volontà dì fare corpo unico nei confronti di chi, con decisioni scellerate ed irresponsabili produce effetti sociali ed economici traumatici”.
I problemi travagliano anche quello che era una volta lo stabilimento principale del gruppo, a Pontelagoscuro, anch’esso minacciato di chiusura. La tensione sta rapidamente crescendo anche in Emilia Romagna. Il passaggio della dichiarazione sindacale in cui si adombra la possibilità che SFIR decida di non trasformare un milione e mezzo di quintali di zucchero è un eufemismo che nasconde un rischio che sta prendendo sempre più corpo. Il rischio che il gruppo ceda a terzi la quota zucchero assegnatali dall’OCM (si parla di possibili acquirenti europei). Una tesi del genere è sostenuta dal consigliere regionale emiliano della Margherita, Tagliani, che in una interrogazione alla Giunta Regionale afferma che “da pochi giorni si è ventilata l’intenzione di vendere la propria quota di produzione zucchero in Europa. Questa decisione provocherebbe la chiusura dell’impianto – aggiunge Tagliani – e destabilizzerebbe tutto il settore saccarifero italiano, che ha già visto tagliare le proprie quote produttive del 50%”. È inutile sottolineare che, se la notizia dovesse trovare conferma, finirebbe nei guai anche lo stabilimento SFIR di Termoli e l’intera bieticoltura di Capitanata, visto che da poco è stata conclusa la trattativa per quanto riguarda i contratti di semina per il 2007.
MA LA SFIR RITIENE “CANTIERABILE” LO STABILIMENTO DI MANFREDONIA
Abbiamo detto all’inizio che la manifestazione di ieri ha avuto il merito di mettere in circolo notizie ed informazioni sullo stato delle singole vertenze che interessano praticamente tutti gli stabilimenti della SFIR, smascherando l’azienda proprio per quanto riguarda lo stabilimento foggiano.
La decisione di scendere in sciopero era maturata dopo l’esito negativo dell’ultimo incontro nazionale tra l’azienda ed i sindacati, svoltosi il 26 ottobre scorso per fare il punto sullo stato dell’arte dei progetti di riconversione che riguardano gli zuccherifici tagliati dall’accordo OCM.
Nel comunicato diffuso al termine della riunione, si legge testualmente: “L’incontro, in calendario per verificare lo stato di avanzamento dei progetti di riconversione avviati a seguito della chiusura dei siti causata dalla O.C.M zucchero ed il programma d'investimenti e sviluppo per l'unico zuccherificio rimasto aperto, ha evidenziato un atteggiamento dilatorio ed irresponsabile di SFIR, fatta eccezione della situazione di Foggia per la quale il progetto sarebbe cantierabile.
La posizione aziendale risulta ancor più grave stante l’annuncio della possibile chiusura dello zuccherificio di Pontelagoscuro e la messa in discussione dei contratti di coltivazione della barbabietola per la campagna di trasformazione 2007 e successive, disattendendo in questo modo gli impegni assunti con l’accordo quadro di Febbraio, nonché gli accordi gestionali seguenti.”
LA DECISA PRESA DI POSIZIONE DEL MINISTRO DE CASTRO
Sarebbe interessante chiedere ai vertici aziendali da dove nascesse l’ottimismo circa la cantierabilità del progetto foggiano, visto che il Comune di Manfredonia aveva da tempo manifestato la propria opposizione al progetto di delocalizzazione dello zuccherificio di Incoronata. Qualche giorno dopo l’incontro con i sindacati, il tavolo della trattativa per lo stabilimento di Foggia si è chiuso malamente.
La giornata di protesta di Cesena potrebbe rappresentare tuttavia un punto di svolta nella sempre più ampia vertenza SFIR. I sindacati hanno rivolto un appello al Ministro delle Politiche Agricole, Paolo De Castro “affinché il governo si faccia garante della salvaguardia del settore e richiami il Gruppo alle proprie responsabilità: non abbiamo alcuna intenzione di mollare la presa – hanno detto i rappresentanti sindacali - e pretendiamo il rispetto degli accordi convenuti e degli impegni che SFIR ha assunto a tutti i livelli.
La risposta di De Castro non si è fatta attendere: il Ministro ha detto che i piani di riconversione (che devono essere approvati dal Governo per poter usufruire delle provvidenza comunitarie) saranno approvati soltanto se l’azienda rispetterà gli accordi già presi e se garantirà i livelli occupazionali.
Ma la situazione è problematica non soltanto negli stabilimenti che dovrebbero essere riconvertiti. Esistono forti problemi anche in quelli che dovrebbe regolarmente lavorare le quote di zucchero assegnate dall’OCM al gruppo SFIR.
LAVORATORI E BIETICOLTORI PROTESTANO INSIEME
“Lo sciopero dei lavoratori del gruppo Sfir e la manifestazione di Cesena – hanno detto i rappresentanti sindacali di Flai-Cgil, Fai-Cisl e Uila-Uil è la risposta all'atteggiamento indecente ed irresponsabile assunto da questo gruppo che ha deciso di disattendere gli impegni assunti in occasione degli accordi conseguenti alla riforma Ocm dello zucchero”.
“Sfir mette in discussione le riconversioni dei siti dimessi – continua l’accusa dei sindacati -, non dà corso agli accordi per la semina utile alla campagna di trasformazione 2007, rendendo impraticabile la continuità produttiva. La possIbile decisione di Sfir di non trasformare un milione e mezzo di quintali di zucchero rimette in discussione l'intera tenuta del comporto saccarifero italiano”.
Alla manifestazione cesenate hanno aderito anche le Associazioni professionali dei bieticoltori per manifestare – è stato detto - “la volontà dì fare corpo unico nei confronti di chi, con decisioni scellerate ed irresponsabili produce effetti sociali ed economici traumatici”.
I problemi travagliano anche quello che era una volta lo stabilimento principale del gruppo, a Pontelagoscuro, anch’esso minacciato di chiusura. La tensione sta rapidamente crescendo anche in Emilia Romagna. Il passaggio della dichiarazione sindacale in cui si adombra la possibilità che SFIR decida di non trasformare un milione e mezzo di quintali di zucchero è un eufemismo che nasconde un rischio che sta prendendo sempre più corpo. Il rischio che il gruppo ceda a terzi la quota zucchero assegnatali dall’OCM (si parla di possibili acquirenti europei). Una tesi del genere è sostenuta dal consigliere regionale emiliano della Margherita, Tagliani, che in una interrogazione alla Giunta Regionale afferma che “da pochi giorni si è ventilata l’intenzione di vendere la propria quota di produzione zucchero in Europa. Questa decisione provocherebbe la chiusura dell’impianto – aggiunge Tagliani – e destabilizzerebbe tutto il settore saccarifero italiano, che ha già visto tagliare le proprie quote produttive del 50%”. È inutile sottolineare che, se la notizia dovesse trovare conferma, finirebbe nei guai anche lo stabilimento SFIR di Termoli e l’intera bieticoltura di Capitanata, visto che da poco è stata conclusa la trattativa per quanto riguarda i contratti di semina per il 2007.
MA LA SFIR RITIENE “CANTIERABILE” LO STABILIMENTO DI MANFREDONIA
Abbiamo detto all’inizio che la manifestazione di ieri ha avuto il merito di mettere in circolo notizie ed informazioni sullo stato delle singole vertenze che interessano praticamente tutti gli stabilimenti della SFIR, smascherando l’azienda proprio per quanto riguarda lo stabilimento foggiano.
La decisione di scendere in sciopero era maturata dopo l’esito negativo dell’ultimo incontro nazionale tra l’azienda ed i sindacati, svoltosi il 26 ottobre scorso per fare il punto sullo stato dell’arte dei progetti di riconversione che riguardano gli zuccherifici tagliati dall’accordo OCM.
Nel comunicato diffuso al termine della riunione, si legge testualmente: “L’incontro, in calendario per verificare lo stato di avanzamento dei progetti di riconversione avviati a seguito della chiusura dei siti causata dalla O.C.M zucchero ed il programma d'investimenti e sviluppo per l'unico zuccherificio rimasto aperto, ha evidenziato un atteggiamento dilatorio ed irresponsabile di SFIR, fatta eccezione della situazione di Foggia per la quale il progetto sarebbe cantierabile.
La posizione aziendale risulta ancor più grave stante l’annuncio della possibile chiusura dello zuccherificio di Pontelagoscuro e la messa in discussione dei contratti di coltivazione della barbabietola per la campagna di trasformazione 2007 e successive, disattendendo in questo modo gli impegni assunti con l’accordo quadro di Febbraio, nonché gli accordi gestionali seguenti.”
LA DECISA PRESA DI POSIZIONE DEL MINISTRO DE CASTRO
Sarebbe interessante chiedere ai vertici aziendali da dove nascesse l’ottimismo circa la cantierabilità del progetto foggiano, visto che il Comune di Manfredonia aveva da tempo manifestato la propria opposizione al progetto di delocalizzazione dello zuccherificio di Incoronata. Qualche giorno dopo l’incontro con i sindacati, il tavolo della trattativa per lo stabilimento di Foggia si è chiuso malamente.
La giornata di protesta di Cesena potrebbe rappresentare tuttavia un punto di svolta nella sempre più ampia vertenza SFIR. I sindacati hanno rivolto un appello al Ministro delle Politiche Agricole, Paolo De Castro “affinché il governo si faccia garante della salvaguardia del settore e richiami il Gruppo alle proprie responsabilità: non abbiamo alcuna intenzione di mollare la presa – hanno detto i rappresentanti sindacali - e pretendiamo il rispetto degli accordi convenuti e degli impegni che SFIR ha assunto a tutti i livelli.
La risposta di De Castro non si è fatta attendere: il Ministro ha detto che i piani di riconversione (che devono essere approvati dal Governo per poter usufruire delle provvidenza comunitarie) saranno approvati soltanto se l’azienda rispetterà gli accordi già presi e se garantirà i livelli occupazionali.
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giovedì 9 novembre 2006
L' uomo di Apricena rilancia la sfida della cultura come impresa
Che sarebbe successo se "l'uomo di Apricena", il più antico abitatore d'Europa, fosse stato scoperto non nelle plaghe della Capitanata, ma - poniamo il caso - a Rimini? Potete giurarci: sarebbe stato già realizzata una Mostra permanente, con annesso Parco di divertimenti e giacché ci siamo (non guastano mai) una discoteca e un paio di ristoranti paleontologici.
Altrove, le scoperte archeologiche e la valorizzazione dei beni culturali hanno fatto la fortuna di territori in possesso di beni anche di minore consistenza rispetto a quelli Dauni. Qui da noi, invece, l'ipotesi di uno sviluppo culturale in grado di produrre anche un ritorno di natura economica ed occupazionale resta ancora un sogno.
Il relativo disinteresse con cui è stato accolto il clamoroso annuncio fatto a Lisbona da una equipe di ricercatori sulle prime tracce di presenza umana, in Europa, rinvenute nei pressi di Apricena, è una evidente testimonianza che la cultura non scalda più di tanto la classe dirigente, anche quando potrebbe propiziare ricadute positive sul territorio.
La scoperta dell'uomo di Apricena è l'ultima di una serie di annunci e di notizie che hanno portato qualcuno a definire la provincia di Foggia un'autentica terra promessa per l'archeologia: basti ricordare le recenti scoperte dell'archeologo Giuliano Volpe ad Ascoli Satriano, gli ipogei di Trinitapoli o le campagne di scavo condotte nei pressi di Siponto, per far tornare alla luce le tracce della pressoché sconosciuta città medievale.
Piccoli tesori che vanno ad aggiungersi ad altri noti da tempo, di valore inestimabile, come Grotta Paglicci a Rignano Garganico (che attende ormai da decenni la realizzazione di un museo), le Stele Daunie custodite nel Museo Nazionale di Manfredonia o gli "exultet" del Tesoro della Cattedrale, da poche settimane resi disponibili alla pubblica fruizione, grazie ad un finanziamento concesso dalle fondazioni bancarie.
I primi dati sull'affluenza dei visitatori a Troia sono incoraggianti, anche se non entusiasmanti, ed è una conferma che la cultura produce ritorni in termini economici ed occupazionali quando si innesta in un "sistema", che purtroppo è del tutto carente, in provincia di Foggia.
Recenti studi condotti sul Tavoliere, grazie al ricorso di tecniche di indagini aeree, hanno permesso di stabilire che c'è anche un immenso patrimonio in attesa di essere scoperto e valorizzato. Nel Subappennino, gli scavi condotti per la realizzazione delle pale eoliche hanno permesso di ritrovare reperti preziosissimi.
Però mancano investimenti per riportare alla luce e valorizzare adeguatamente questo tesoro. L'Università fa quel che può (ed è già moltissimo), gli enti locali dedicano all'archeologia risorse marginali (sagre e spettacoli offrono una maggiore visibilità), è del tutto assente l'impresa privata che invece, per le ragioni che abbiamo diffusamente esposto prima, sarebbe forse il soggetto maggiormente interessato ad investire nel settore.
Il peggio è che non solo non si riporta alla luce quanto è ancora sepolto dal tempo, e non si valorizza adeguatamente il patrimonio esistente. Si fa molto poco anche per la tutela di quanto esiste. È di qualche mese fa l'accorato appello di archeologi ed intellettuali al Comune di Foggia per salvare la Tomba della Medusa, che - oggetto di lavori di recupero - era stata completamente abbandonata a se stessa, dopo il fallimento dell'impresa appaltatrice.
Eppure, proprio l'eccezionale ritrovamento di Apricena potrebbe contribuire ad aprire un nuovo capitolo nella gestione e valorizzazione dei beni culturali. Sarà la volta buona?
Altrove, le scoperte archeologiche e la valorizzazione dei beni culturali hanno fatto la fortuna di territori in possesso di beni anche di minore consistenza rispetto a quelli Dauni. Qui da noi, invece, l'ipotesi di uno sviluppo culturale in grado di produrre anche un ritorno di natura economica ed occupazionale resta ancora un sogno.
Il relativo disinteresse con cui è stato accolto il clamoroso annuncio fatto a Lisbona da una equipe di ricercatori sulle prime tracce di presenza umana, in Europa, rinvenute nei pressi di Apricena, è una evidente testimonianza che la cultura non scalda più di tanto la classe dirigente, anche quando potrebbe propiziare ricadute positive sul territorio.
La scoperta dell'uomo di Apricena è l'ultima di una serie di annunci e di notizie che hanno portato qualcuno a definire la provincia di Foggia un'autentica terra promessa per l'archeologia: basti ricordare le recenti scoperte dell'archeologo Giuliano Volpe ad Ascoli Satriano, gli ipogei di Trinitapoli o le campagne di scavo condotte nei pressi di Siponto, per far tornare alla luce le tracce della pressoché sconosciuta città medievale.
Piccoli tesori che vanno ad aggiungersi ad altri noti da tempo, di valore inestimabile, come Grotta Paglicci a Rignano Garganico (che attende ormai da decenni la realizzazione di un museo), le Stele Daunie custodite nel Museo Nazionale di Manfredonia o gli "exultet" del Tesoro della Cattedrale, da poche settimane resi disponibili alla pubblica fruizione, grazie ad un finanziamento concesso dalle fondazioni bancarie.
I primi dati sull'affluenza dei visitatori a Troia sono incoraggianti, anche se non entusiasmanti, ed è una conferma che la cultura produce ritorni in termini economici ed occupazionali quando si innesta in un "sistema", che purtroppo è del tutto carente, in provincia di Foggia.
Recenti studi condotti sul Tavoliere, grazie al ricorso di tecniche di indagini aeree, hanno permesso di stabilire che c'è anche un immenso patrimonio in attesa di essere scoperto e valorizzato. Nel Subappennino, gli scavi condotti per la realizzazione delle pale eoliche hanno permesso di ritrovare reperti preziosissimi.
Però mancano investimenti per riportare alla luce e valorizzare adeguatamente questo tesoro. L'Università fa quel che può (ed è già moltissimo), gli enti locali dedicano all'archeologia risorse marginali (sagre e spettacoli offrono una maggiore visibilità), è del tutto assente l'impresa privata che invece, per le ragioni che abbiamo diffusamente esposto prima, sarebbe forse il soggetto maggiormente interessato ad investire nel settore.
Il peggio è che non solo non si riporta alla luce quanto è ancora sepolto dal tempo, e non si valorizza adeguatamente il patrimonio esistente. Si fa molto poco anche per la tutela di quanto esiste. È di qualche mese fa l'accorato appello di archeologi ed intellettuali al Comune di Foggia per salvare la Tomba della Medusa, che - oggetto di lavori di recupero - era stata completamente abbandonata a se stessa, dopo il fallimento dell'impresa appaltatrice.
Eppure, proprio l'eccezionale ritrovamento di Apricena potrebbe contribuire ad aprire un nuovo capitolo nella gestione e valorizzazione dei beni culturali. Sarà la volta buona?
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Si riaccende il "duello" tra Foggia e Verona sull'authority alimentare
Torna a crescere la tensione, tra Foggia e Verona, nello "sprint" per ottenere la sede dell'Agenzia Nazionale per la Sicurezza Alimentare. Dopo qualche settimana di relativa tranquillità, è bastata la dichiarazione (che non era nè una promessa, né un impegno) del vicepremier Rutelli, alla cerimonia inaugurale dell'anno accademico, a riaprire il fuoco di fila della polemiche.
A Verona se la prendono soprattutto perché temono che il Governo venga meno all'impegno (assunto però dal precedente esecutivo, ed in particolare dal Ministro Alemanno, pugliese, di Alleanza Nazionale, allora responsabile del dicastero delle Politiche Agricole) circa lo svolgimento di una selezione preventiva tra le città candidate ad ospitare l'autorithy, in base a precisi requisiti.
"Per accordi politici ed elettorali, invece, - si legge sul numero dell'Arena di Verona, in edicola ieri - sta prendendo quota la volontà del governo prodi di dirigersi verso Foggia, il che aveva già provocato una levata di scudi da parte di Verona, anche se a dire il vero gli addetti ai lavori, come era emerso anche al recente meeting di Cernobbio, rispetto a una entità incerta preferiscono lavorare su progetti certi a livello europeo che garantiscono la qualità delle produzioni agroalimentari."
All'Università di Foggia, Rutelli aveva detto che la candidatura della città di Foggia come sede dell’Autorità nazionale per la sicurezza alimentare è importante e ben legittima, aggiungendo tuttavia che "la candidatura si confronterà con le altre".
Una precisazione che non è basta a rassicurare i belligeranti animi scaligeri, e soprattutto il vicepresidente della Regione Veneto, Luca Zaia che come aveva già fatto in precedenza, commentando l'annuncio del Ministro Paolo De Castro, circa l'orientamento del Governo favorevole a Foggia, non ha perso l'occasione per lanciare un'altra pesante bordata verso il capoluogo dauno. Replicando al Ministro dei Beni Culturali, Zaia ha detto che "se la candidatura di Foggia a sede dell’Authority nazionale per la sicurezza alimentare è legittima, e cioè consentita dalla legge, io dico che la candidatura di Verona, oltre ad essere legittima è anche realistica e cioè fondata sulla realtà delle cose".
In una dichiarazione riportata dal quotidiano scaligero, sempre molto attento nel seguire le vicende che riguardano la scelta della sede dell'Agenzia, il vicepresidente veneto rincara la dose: "Avere delle aspirazioni è cosa legittima, ma un conto è lasciarsi andare a voli pindarici della mente, un altro è parlare dati alla mano e i dati riferiti al Veneto parlano chiaro. Siamo una regione ai vertici della produzione agricola italiana, con una Produzione Lorda Vendibile di circa 5 miliardi e 50 milioni di euro l’anno, il 10 per cento del totale nazionale, primi nel settore della zootecnia da carne con il primato assoluto negli avicoli, nel vitellone da carne e nella conigliatura; produciamo oltre 7 milioni di ettolitri di vino, dei quali circa un terzo a Denominazione di Origine Controllata, e siamo i primi esportatori con il 28 per cento dell’export nazionale. Verona è una candidatura legittima, realistica e sensata non fosse altro perchè ospita le principali manifestazioni di promozione dell’attività agricola e agroindustriale tra cui l’imminente Fieracavalli".
«La mia - conclude Zaia - è una continua battaglia contro le lobby del Sud che non perdono occasione per far pressione sul governo e cercare di prendere tutto il possibile, salvo poi non saper dimostrare di utilizzare le risorse per creare ricchezza".
La presa di posizione dell'esponente leghista, non nuovo a queste sortite contro il Mezzogiorno ed i meridionali non è isolata. L'Arena di Verona ospita anche una pesante presa di posizione del presidente della Camera di commercio veronese, Fabio Bortolazzi, da sempre promotore della candidatura di Verona: "a Verona ci sono laboratori e risorse, la scelta del governo è solo elettoralistica, uno spreco. Quello che il precedente governo non ha avuto il coraggio di fare, lo compie questo con logiche però scandalose".
Sia Zaia che Bortolazzi sembrano, tuttavia dimenticare, che a favore della scelta di Foggia e comunque del Mezzogiorno c'è una ragione elementare: al Nord è stata già attribuita la sede europea dell'Authority alimentare, che ha premiato Parma, che dista dalla città scaligera soltanto duecento chilometri.
La polemica sale di tono in un momento difficile per la città e per la provincia di Foggia, in cui la questione authority sembra aver perso un po' di smalto, di fronte ad altre incombenze, quali la crisi industriale che travaglia diverse realtà produttive e la vertenza trasporti. È invece urgente riprendere l'iniziativa, perchè non è escluso che alla fine il Governo possa arrivare veramente ad una selezione tra le diverse città candidate, ed in quel momento a fianco ai "titoli" occorrerà anche mettere in campo soluzioni e progetti concreti per la costituenda agenzia. È passato ormai quasi un mese dall'annuncio del Ministro De Castro, ma praticamente nulla è stato fatto in questa direzione, neanche per rispondere alle polemiche, in molti casi perfino offensive verso la città di Foggia.
A Verona se la prendono soprattutto perché temono che il Governo venga meno all'impegno (assunto però dal precedente esecutivo, ed in particolare dal Ministro Alemanno, pugliese, di Alleanza Nazionale, allora responsabile del dicastero delle Politiche Agricole) circa lo svolgimento di una selezione preventiva tra le città candidate ad ospitare l'autorithy, in base a precisi requisiti.
"Per accordi politici ed elettorali, invece, - si legge sul numero dell'Arena di Verona, in edicola ieri - sta prendendo quota la volontà del governo prodi di dirigersi verso Foggia, il che aveva già provocato una levata di scudi da parte di Verona, anche se a dire il vero gli addetti ai lavori, come era emerso anche al recente meeting di Cernobbio, rispetto a una entità incerta preferiscono lavorare su progetti certi a livello europeo che garantiscono la qualità delle produzioni agroalimentari."
All'Università di Foggia, Rutelli aveva detto che la candidatura della città di Foggia come sede dell’Autorità nazionale per la sicurezza alimentare è importante e ben legittima, aggiungendo tuttavia che "la candidatura si confronterà con le altre".
Una precisazione che non è basta a rassicurare i belligeranti animi scaligeri, e soprattutto il vicepresidente della Regione Veneto, Luca Zaia che come aveva già fatto in precedenza, commentando l'annuncio del Ministro Paolo De Castro, circa l'orientamento del Governo favorevole a Foggia, non ha perso l'occasione per lanciare un'altra pesante bordata verso il capoluogo dauno. Replicando al Ministro dei Beni Culturali, Zaia ha detto che "se la candidatura di Foggia a sede dell’Authority nazionale per la sicurezza alimentare è legittima, e cioè consentita dalla legge, io dico che la candidatura di Verona, oltre ad essere legittima è anche realistica e cioè fondata sulla realtà delle cose".
In una dichiarazione riportata dal quotidiano scaligero, sempre molto attento nel seguire le vicende che riguardano la scelta della sede dell'Agenzia, il vicepresidente veneto rincara la dose: "Avere delle aspirazioni è cosa legittima, ma un conto è lasciarsi andare a voli pindarici della mente, un altro è parlare dati alla mano e i dati riferiti al Veneto parlano chiaro. Siamo una regione ai vertici della produzione agricola italiana, con una Produzione Lorda Vendibile di circa 5 miliardi e 50 milioni di euro l’anno, il 10 per cento del totale nazionale, primi nel settore della zootecnia da carne con il primato assoluto negli avicoli, nel vitellone da carne e nella conigliatura; produciamo oltre 7 milioni di ettolitri di vino, dei quali circa un terzo a Denominazione di Origine Controllata, e siamo i primi esportatori con il 28 per cento dell’export nazionale. Verona è una candidatura legittima, realistica e sensata non fosse altro perchè ospita le principali manifestazioni di promozione dell’attività agricola e agroindustriale tra cui l’imminente Fieracavalli".
«La mia - conclude Zaia - è una continua battaglia contro le lobby del Sud che non perdono occasione per far pressione sul governo e cercare di prendere tutto il possibile, salvo poi non saper dimostrare di utilizzare le risorse per creare ricchezza".
La presa di posizione dell'esponente leghista, non nuovo a queste sortite contro il Mezzogiorno ed i meridionali non è isolata. L'Arena di Verona ospita anche una pesante presa di posizione del presidente della Camera di commercio veronese, Fabio Bortolazzi, da sempre promotore della candidatura di Verona: "a Verona ci sono laboratori e risorse, la scelta del governo è solo elettoralistica, uno spreco. Quello che il precedente governo non ha avuto il coraggio di fare, lo compie questo con logiche però scandalose".
Sia Zaia che Bortolazzi sembrano, tuttavia dimenticare, che a favore della scelta di Foggia e comunque del Mezzogiorno c'è una ragione elementare: al Nord è stata già attribuita la sede europea dell'Authority alimentare, che ha premiato Parma, che dista dalla città scaligera soltanto duecento chilometri.
La polemica sale di tono in un momento difficile per la città e per la provincia di Foggia, in cui la questione authority sembra aver perso un po' di smalto, di fronte ad altre incombenze, quali la crisi industriale che travaglia diverse realtà produttive e la vertenza trasporti. È invece urgente riprendere l'iniziativa, perchè non è escluso che alla fine il Governo possa arrivare veramente ad una selezione tra le diverse città candidate, ed in quel momento a fianco ai "titoli" occorrerà anche mettere in campo soluzioni e progetti concreti per la costituenda agenzia. È passato ormai quasi un mese dall'annuncio del Ministro De Castro, ma praticamente nulla è stato fatto in questa direzione, neanche per rispondere alle polemiche, in molti casi perfino offensive verso la città di Foggia.
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martedì 7 novembre 2006
domenica 5 novembre 2006
Inchiesta: SFIR, perchè hanno perso tutti
Alla fine, hanno perso tutti. Hanno perso, soprattutto, il mondo del lavoro che perde 12° unità e l’economia dauna che vede sfumare un altro dei suoi gioielli di famiglia. Il mancato accordo sulla delocalizzazione dello stabilimento SFIR di Incoronata a Manfredonia apre le porte alla migrazione dell’ex zuccherificio in altre città pugliesi di mare: Barletta, Brindisi o Taranto, secondo quanto ha affermato il presidente del gruppo, Mario Riciputi. Però resta un certo amaro in bocca, perché non si è riusciti ad impedire che la situazione precipitasse, giungendo al punto morto del muro contro muro che ha opposto gli amministratori di Manfredonia alle altre istituzioni, ed ai sindacati. Forse si sarebbe dovuto aprire prima il confronto con l’azienda, un confronto sul piano industriale su cui per troppo tempo non si è detta la verità, e cioè che non si trattava soltanto di un nuovo zuccherificio orientato alla lavorazione di canna da zucchero, ma anche, soprattutto di una centrale elettrica a biomasse.
È mancata l’informazione, è mancata la necessaria cabina di regìa, si sono accettate verità che erano solo mezze verità, quando sarebbe stato necessario aprire un confronto con l’azienda subito dopo l’approvazione dell’OCM zucchero, perché era apparso subito chiaro che il nuovo regime bieticolo europeo tagliava fuori lo stabilimento di Foggia. In questa nostra inchiesta cerchiamo di fare appunto questo, di comprendere la storia della chiusura dello stabilimento di Foggia alle luce delle più complessive strategia nazionali del gruppo SFIR.
Bisogna, prima di tutto, partire da un dato: per la SFIR, la delocalizzazione dello stabilimento di Incoronata rappresenta una necessità: per accedere alle provvidenze comunitarie e per salvare il bilancio aziendale che si è chiuso al 31 dicembre dello scorso anno, con una perdita di circa 6 milioni e 800mila euro. L’indebitamento complessivo è di quasi 120 milioni di euro, a fronte di un capitale investito di circa 156 milioni e un patrimonio di 37 milioni. Dati allarmanti, il cui risanamento passa per la ristrutturazione delle attività del gruppo.
La storia di questa crisi è raccontata con nitidezza nella relazione della società di revisione del bilancio della SFIR, la Deloite e Touch Spa, che esprime un giudizio sostanzialmente positivo sulle possibilità di ripresa dell’azienda, subordinandolo, però, all’attuazione dei progetti di ristrutturazione in corso.
La relazione della Deloite e Touch parte dalla riforma del settore saccarifero sancita dall’OCM (Organizzazione Comune di Mercato) per lo zucchero, ricordando che l’obiettivo della riforma è quello di arrivare ad un forte ridimsnionamento della produzione bieticolo-saccarifera in Europa, per raggiungere il quale sono stati modificati i presupposti regolamentari che garantivano la sostenibilità al mercato (scoraggiando, dunque, la produzione) ed è stato introdotto un regime temporaneo di aiuti per la ristrutturazione del settore. Tale regime prevede, per quanto riguarda gli aspetti industriali, la rinuncia della quota di produzione assegnata ed il sostegno finanziario da parte dell’UE dei progetti di riconversione. È, in sostanza, quanto ha fatto la SFIR per Foggia e per altri due stabilimenti del gruppo. La “ragionevole certezza” dell’incasso delle provvidenze comunitarie – positivamente valutata comunque dalla società di certificazione del bilancio – è la base del risanamento del bilancio.
“Gli effetti della riforma – si legge nella relazione – avranno come conseguenza il significativo ridimensionamento dell’attività nel settore saccarifero e l’avvio di nuove attività industriali, che saranno in parte finanziate anche attraverso i previsti aiuti. I piani previsti ed approvati dalla Società per le attività residue nel settore saccarifero e per le nuove attività prevedono il superamento dell’attuale situazione di perdita e sufficienti flussi di cassa per il riequilibrio economico e finanziario, che ne permettano la continuità aziendale.”
Si capisce chiaramente anche da questo, quanto sia importante per la SFIR la partita che si sta giocando in Puglia.
L’altro dato importante, riguarda la natura del piano industriale. Si è parlato per troppo tempo, a sproposito, di un altro zuccherificio che sarebbe sorto a Manfredonia, per la lavorazione della canna da zucchero. Per la cronaca, la scelta dell’area portuale era stata determinata proprio dalla necessità di consentire un attracco vicino alla materia prima, che verrà importata dall’esterno.
Ma in realtà, visto che la produzione dello zucchero da canna è solo una parte del business che la SFIR intende realizzare, si poteva forse affrontare diversamente il problema della riconversione. Un documento tecnico di analisi dei piani di riconversione presentati dalle industrie saccarifere all’indomani dell’OCM zucchero, pubblicato dal Corriere Agricolo, prendendo in esame il progetto per Foggia non parla minimamente di nuovo zuccherificio, ma direttamente di “centrale”, avanzando, peraltro, forti dubbi sulla possibilità di reperire in loco la materia prima necessaria: “Per quanto riguarda la centrale progettata dalla SFIR a Foggia non sembra essere stata valutata appieno la possibilità di reperimento in zona delle biomasse di scarto considerate (paglia da cereali, sansa esausta) tenuto conto degli usi alternativi di tali residui agricoli, consolidati a livello pugliese (bruciatura delle stoppie in campo, impianti termici a sansa nei frantoi e presso privati).”
In realtà, per tutti gli stabilimenti coinvolti nel progetto di riconversione industriale, l’azienda punta ad una considerevole riconversione dei propri obiettivi industriali. Negli altri due stabilimenti si punta alla produzione di bioetanolo e di ecodiesel. L’azienda ha scelto la realizzazione delle centrali a biomasse nelle situazioni più critiche, per esempio a San Pietro in Casale, in provincia di Bologna, per il cui stabilimento era già stata decisa la chiusura. Va detto che San Pietro in Bologna non sta sul mare, e che forse avrebbero potuto essere prese in considerazione per l’impianto foggiano, ipotesi di delocalizzazione non così critiche dal punto di vista ambientale.
È mancata l’informazione, è mancata la necessaria cabina di regìa, si sono accettate verità che erano solo mezze verità, quando sarebbe stato necessario aprire un confronto con l’azienda subito dopo l’approvazione dell’OCM zucchero, perché era apparso subito chiaro che il nuovo regime bieticolo europeo tagliava fuori lo stabilimento di Foggia. In questa nostra inchiesta cerchiamo di fare appunto questo, di comprendere la storia della chiusura dello stabilimento di Foggia alle luce delle più complessive strategia nazionali del gruppo SFIR.
Bisogna, prima di tutto, partire da un dato: per la SFIR, la delocalizzazione dello stabilimento di Incoronata rappresenta una necessità: per accedere alle provvidenze comunitarie e per salvare il bilancio aziendale che si è chiuso al 31 dicembre dello scorso anno, con una perdita di circa 6 milioni e 800mila euro. L’indebitamento complessivo è di quasi 120 milioni di euro, a fronte di un capitale investito di circa 156 milioni e un patrimonio di 37 milioni. Dati allarmanti, il cui risanamento passa per la ristrutturazione delle attività del gruppo.
La storia di questa crisi è raccontata con nitidezza nella relazione della società di revisione del bilancio della SFIR, la Deloite e Touch Spa, che esprime un giudizio sostanzialmente positivo sulle possibilità di ripresa dell’azienda, subordinandolo, però, all’attuazione dei progetti di ristrutturazione in corso.
La relazione della Deloite e Touch parte dalla riforma del settore saccarifero sancita dall’OCM (Organizzazione Comune di Mercato) per lo zucchero, ricordando che l’obiettivo della riforma è quello di arrivare ad un forte ridimsnionamento della produzione bieticolo-saccarifera in Europa, per raggiungere il quale sono stati modificati i presupposti regolamentari che garantivano la sostenibilità al mercato (scoraggiando, dunque, la produzione) ed è stato introdotto un regime temporaneo di aiuti per la ristrutturazione del settore. Tale regime prevede, per quanto riguarda gli aspetti industriali, la rinuncia della quota di produzione assegnata ed il sostegno finanziario da parte dell’UE dei progetti di riconversione. È, in sostanza, quanto ha fatto la SFIR per Foggia e per altri due stabilimenti del gruppo. La “ragionevole certezza” dell’incasso delle provvidenze comunitarie – positivamente valutata comunque dalla società di certificazione del bilancio – è la base del risanamento del bilancio.
“Gli effetti della riforma – si legge nella relazione – avranno come conseguenza il significativo ridimensionamento dell’attività nel settore saccarifero e l’avvio di nuove attività industriali, che saranno in parte finanziate anche attraverso i previsti aiuti. I piani previsti ed approvati dalla Società per le attività residue nel settore saccarifero e per le nuove attività prevedono il superamento dell’attuale situazione di perdita e sufficienti flussi di cassa per il riequilibrio economico e finanziario, che ne permettano la continuità aziendale.”
Si capisce chiaramente anche da questo, quanto sia importante per la SFIR la partita che si sta giocando in Puglia.
L’altro dato importante, riguarda la natura del piano industriale. Si è parlato per troppo tempo, a sproposito, di un altro zuccherificio che sarebbe sorto a Manfredonia, per la lavorazione della canna da zucchero. Per la cronaca, la scelta dell’area portuale era stata determinata proprio dalla necessità di consentire un attracco vicino alla materia prima, che verrà importata dall’esterno.
Ma in realtà, visto che la produzione dello zucchero da canna è solo una parte del business che la SFIR intende realizzare, si poteva forse affrontare diversamente il problema della riconversione. Un documento tecnico di analisi dei piani di riconversione presentati dalle industrie saccarifere all’indomani dell’OCM zucchero, pubblicato dal Corriere Agricolo, prendendo in esame il progetto per Foggia non parla minimamente di nuovo zuccherificio, ma direttamente di “centrale”, avanzando, peraltro, forti dubbi sulla possibilità di reperire in loco la materia prima necessaria: “Per quanto riguarda la centrale progettata dalla SFIR a Foggia non sembra essere stata valutata appieno la possibilità di reperimento in zona delle biomasse di scarto considerate (paglia da cereali, sansa esausta) tenuto conto degli usi alternativi di tali residui agricoli, consolidati a livello pugliese (bruciatura delle stoppie in campo, impianti termici a sansa nei frantoi e presso privati).”
In realtà, per tutti gli stabilimenti coinvolti nel progetto di riconversione industriale, l’azienda punta ad una considerevole riconversione dei propri obiettivi industriali. Negli altri due stabilimenti si punta alla produzione di bioetanolo e di ecodiesel. L’azienda ha scelto la realizzazione delle centrali a biomasse nelle situazioni più critiche, per esempio a San Pietro in Casale, in provincia di Bologna, per il cui stabilimento era già stata decisa la chiusura. Va detto che San Pietro in Bologna non sta sul mare, e che forse avrebbero potuto essere prese in considerazione per l’impianto foggiano, ipotesi di delocalizzazione non così critiche dal punto di vista ambientale.
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sabato 4 novembre 2006
Authority Alimentare, il Molise si schiera con Foggia
È sempre vivace il confronto tra le diverse città che “corrono” per ottenere la sede dell’Agenzia Italiana per la Sicurezza Alimentare. È un confronto che si vince anche attraverso la convergenza di più territorio a sostegno di una candidatura, e sotto questo profilo Foggia pare messa piuttosto bene, e continua ad essere – dopo le rinunce di Palermo e di Teramo – la sola città meridionale in lizza, con un buon sostegno anche da parte delle realtà territoriale limitrofe.
Di questo tenore alcune notizie che giungono dal Molise. Il Settimanale del Molise on line riporta un comunicato della sezione molisana del Movimento Consumatori, in cui l’associazione si schiera a favore della candidatura dauna. Nel resto si legge che “la notizia della prossima istituzione dell’agenzia nazionale per la sicurezza alimentare è importante anche per il futuro del settore agroalimentare del Molise, perché i prodotti vengano tutelati e salvaguardati da ogni "inquinamento", " che l’Authority venga istituita il più presto possibile". L’Autority rappresenterà un organismo di tutela anche dello sviluppo economico del Molise se veramente vogliamo puntare sui prodotti di qualità del settore che insieme alle risorse ambientali, culturali del Molise possono rappresentare la nuova "industria regionale".
Il commento è di Filippo Poleggi, Presidente della Sezione di Campobasso del Movimento Consumatori che si pronuncia positivamente alla notizia che Foggia sarà probabilmente sede dell’agenzia nazionale sulla sicurezza alimentare. "E’ positiva la volontà da parte del governo di affrontare il problema dell’istituzione dell’Authority, come è auspicabile che dopo l’apertura della sede venga aperto subito un tavolo di confronto con le associazioni dei consumatori -afferma Beppe Riccardi del Movimento Consumatori – al fine di programmare analisi e controlli sui diversi prodotti per garantirne la sicurezza e contribuire così alla tutela della salute dei cittadini-consumatori".
Di questo tenore alcune notizie che giungono dal Molise. Il Settimanale del Molise on line riporta un comunicato della sezione molisana del Movimento Consumatori, in cui l’associazione si schiera a favore della candidatura dauna. Nel resto si legge che “la notizia della prossima istituzione dell’agenzia nazionale per la sicurezza alimentare è importante anche per il futuro del settore agroalimentare del Molise, perché i prodotti vengano tutelati e salvaguardati da ogni "inquinamento", " che l’Authority venga istituita il più presto possibile". L’Autority rappresenterà un organismo di tutela anche dello sviluppo economico del Molise se veramente vogliamo puntare sui prodotti di qualità del settore che insieme alle risorse ambientali, culturali del Molise possono rappresentare la nuova "industria regionale".
Il commento è di Filippo Poleggi, Presidente della Sezione di Campobasso del Movimento Consumatori che si pronuncia positivamente alla notizia che Foggia sarà probabilmente sede dell’agenzia nazionale sulla sicurezza alimentare. "E’ positiva la volontà da parte del governo di affrontare il problema dell’istituzione dell’Authority, come è auspicabile che dopo l’apertura della sede venga aperto subito un tavolo di confronto con le associazioni dei consumatori -afferma Beppe Riccardi del Movimento Consumatori – al fine di programmare analisi e controlli sui diversi prodotti per garantirne la sicurezza e contribuire così alla tutela della salute dei cittadini-consumatori".
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Centrodestra contro il raddoppio della SS. 16
Un’opera pubblica arricchisce la comunità. Ecco perché la legge prevede che, quando si debba realizzare un’opera, possano essere espropriati beni privati, ovviamente stabilendo il giusto indennizzo. Sulla proprietà privata prevale il concetto di “pubblicità utilità”. Dappertutto, ma non a Foggia, dove si riesce a fare polemiche perfino su un’opera, come il raddoppio della Tangenziale, attesa da decenni. Se ne cominciò a parlare diversi anni fa, quando la città rinunciò all’altra tangenziale, quella che avrebbe dovuto collegare, lambendo l’abitato cittadino, la superstrada che viene da Candela direttamente con il casello autostradale. Sul progetto si registrarono vibranti polemiche, soprattutto perché l’arteria era sopraelevata (qualcuno ebbe a definirla “muraglia cinese”), e la sua costruzione avrebbe influitop in modo decisivo, e nefasto, sul futuro urbanistico della città.
Si optò allora per il rafforzamento della viabilità già esistente, in modo particolare l’anello della ss. 16, la circumvallazione, che è però rimasta tale e quale, per tutti questi anni, fino a quando l’Anas non ha posto mano al progetto.
L’elaborato dell’ANAS è rimasto nei cassetti dell’amministrazione comunale per diversi anni, precisamente dal 2001, quando era al governo l’amministrazione comunale di centrodestra, quello stesso centrodestra che adesso osteggia la realizzazione dell’opera. Il progetto è stato ripreso dalla Giunta Ciliberti appena in tempo per evitare che sfumasse il finanziamento: 42 milioni di euro, uno degli investimenti più ingenti operati dallo Stato nel capoluogo, negli ultimi decenni.
Il progetto prevede il raddoppio della carreggiata nel tratto più critico ed antico della vecchia circumvallazione, che va dallo svincolo della superstrada che proviene da Candela al casello autostradale. La sede stradale è attualmente assolutamente inadeguata ai volumi di traffico che l’arteria deve sopportare, proprio a causa del traffico, anche pesante, che giungendo dal casello di Candela deve immettersi sull’autostrada Bari – Bologna.
Un’opera dalla indiscutibile urgenza ed utilità che però viene messa in discussione dal centrodestra e dai proprietari interessati agli espropri. È vero che attorno alla vecchia circumvallazione sono spuntati come funghi capannoni in cui si concentrano numerose attività economiche ed imprenditoriali, nonostante che gli strumenti urbanistici vigenti non prevedessero insediamenti per attività produttive.
Ma è anche vero che il progetto elaborato dall’Anas non prevede l’esproprio dei capanonni, ma solo delle aree adiacenti e delle loro pertinenze. Si puà capire che i proprietari interessati non facciano salti di gioia, ma non si possono condividere le tragiche previsioni fatte circolare in questi giorni, a riprese anche da autorevoli testate, come la paventata chiusura di diverse attività economiche o come il danno comportato dall’indennità di esproprio, che ammonterebbe a un euro al metro quadro.
È falso, assolutamente falso, visto che la legge stabilisce il versamento di un indennizzo commisurato al tipo ed all’utilizzazione del terreno espropriato: se è un terreno edificabile si paga una certa cifra, se è un terreno seminativo se ne paga una minore, e così via dicendo.
Nella città che detiene il triste primato della peggiore qualità della mobilità urbana, non ci sarebbe neanche da discutere, ed invece approdato in consiglio comunale, l’esame del progetto è stato rinviato. Se ne discuterà, forse, la prossima settimana. Speriamo che prevalga il buonsenso.
Si optò allora per il rafforzamento della viabilità già esistente, in modo particolare l’anello della ss. 16, la circumvallazione, che è però rimasta tale e quale, per tutti questi anni, fino a quando l’Anas non ha posto mano al progetto.
L’elaborato dell’ANAS è rimasto nei cassetti dell’amministrazione comunale per diversi anni, precisamente dal 2001, quando era al governo l’amministrazione comunale di centrodestra, quello stesso centrodestra che adesso osteggia la realizzazione dell’opera. Il progetto è stato ripreso dalla Giunta Ciliberti appena in tempo per evitare che sfumasse il finanziamento: 42 milioni di euro, uno degli investimenti più ingenti operati dallo Stato nel capoluogo, negli ultimi decenni.
Il progetto prevede il raddoppio della carreggiata nel tratto più critico ed antico della vecchia circumvallazione, che va dallo svincolo della superstrada che proviene da Candela al casello autostradale. La sede stradale è attualmente assolutamente inadeguata ai volumi di traffico che l’arteria deve sopportare, proprio a causa del traffico, anche pesante, che giungendo dal casello di Candela deve immettersi sull’autostrada Bari – Bologna.
Un’opera dalla indiscutibile urgenza ed utilità che però viene messa in discussione dal centrodestra e dai proprietari interessati agli espropri. È vero che attorno alla vecchia circumvallazione sono spuntati come funghi capannoni in cui si concentrano numerose attività economiche ed imprenditoriali, nonostante che gli strumenti urbanistici vigenti non prevedessero insediamenti per attività produttive.
Ma è anche vero che il progetto elaborato dall’Anas non prevede l’esproprio dei capanonni, ma solo delle aree adiacenti e delle loro pertinenze. Si puà capire che i proprietari interessati non facciano salti di gioia, ma non si possono condividere le tragiche previsioni fatte circolare in questi giorni, a riprese anche da autorevoli testate, come la paventata chiusura di diverse attività economiche o come il danno comportato dall’indennità di esproprio, che ammonterebbe a un euro al metro quadro.
È falso, assolutamente falso, visto che la legge stabilisce il versamento di un indennizzo commisurato al tipo ed all’utilizzazione del terreno espropriato: se è un terreno edificabile si paga una certa cifra, se è un terreno seminativo se ne paga una minore, e così via dicendo.
Nella città che detiene il triste primato della peggiore qualità della mobilità urbana, non ci sarebbe neanche da discutere, ed invece approdato in consiglio comunale, l’esame del progetto è stato rinviato. Se ne discuterà, forse, la prossima settimana. Speriamo che prevalga il buonsenso.
Fermenti di riunificazione in casa socialista
All’inizio sembra un innocente comunicato, una di quelle prese di posizione dettate dalla passione politica, e dalla consapevolezza che il dibattito sul partito democratico prossimo venturo corre il rischio di eclissare l’altra grande questione del centrosinistra italiano, quella socialista.
L’iniziativa di Pino Lonigro, consigliere regionale dello Sdi, consigliere comunale a Foggia e dal qualche giorno presidente dell’assise municipale e consigliere regionale, sta invece provocando più d’un fermento, e non solo a Foggia. Il dibattito sta montando sulle cronache regionali del Corriere del Mezzogiorno, ed era da un pezzo che un confronto politico di spessore extraprovinciale non partiva da un politico foggiano.
Quello di Lonigro è stato, però, soprattutto in provincia di Foggia, il classico sasso nell’acqua stagnante. Dopo l’adesione del portavoce foggiano di Bobo Craxi, Giampiero Protano ed il “rimbrotto” giunto da parte dei Radicali, ecco altri importanti sostegni all’appello di Lonigro, che ha proposto di rilanciare il percorso dell’unità socialista. Ieri mattina è stato il turno degli assessori provinciali Nicola Tanaglione e Bernado Lodispoto, del capogruppo socialista a Palazzo Dogana, Mauro Piccirilli, del presidente della comunità montana del Gargano, e consigliere provinciale. Qualcosa si muove anche ai seno ai Socialisti Autonomisti di Alberto Tedesco.
L’accelerazione impressa da Democratici di Sinistra e Margherita al cammino costituente del Partito Democratico potrebbe far serrare i ranghi ai socialisti, evidentemente timorosi di venire schiacciati e ridimensionati dalla nuova formazione politica.
Le risposte positive che l’iniziativa di Lonigro sta raccogliendo si sono intrecciate con la sua elezione a presidente del consiglio comunale del capoluogo, e sono in molti a ritenere che non si tratti di una coincidenza casuale, nel senso che la rapida crescita delle quotazioni politiche di Lonigro potrebbe preludere anche a nuovi equilibri in seno al partito socialista. Per il momento non ci sono contrasti aperti e tangibili, anche perché nella recente vicenda della designazione del nuovo presidente del consiglio che avrebbe sostituito Emilio Piarullo, l’on. Lello Di Gioia ha assunto una posizione di intelligente equidistanza. Non è però difficile intravedere sfumature diverse, tra le posizioni ed i comportamenti di Di Gioia, e quelli di Lonigro.
Il parlamentare è stato l’autorevole sponsor del passaggio di numerosi esponenti del centrodestra allo Sdi, un passaggio difficile da governare, ma che ha pagato in modo molto pesante sotto il profilo elettorale, soprattutto alle regionali, quando, ottenendo il loro massimo storico in Capitanata, proprio grazie al “contributo” elettorale dei delusi del centrodestra, i socialisti foggiani hanno contribuito in modo decisivo al successo elettorale di Nichi Vendola, che dev’essere pertanto grato due volte a Di Gioia, la prima per aver “fatto la differenza” al momento del voto, la seconda per essersi schierato a suo favore, fin dall’epoca delle primarie.
Lonigro incarna invece l’anima socialista più attenta ai valori della tradizione socialista. Nessun aperto contrasto tra le due anime. Però, le difficoltà incontrate dallo Sdi per la designazione del nuovo presidente del consiglio sono però la spia di un malessere strisciante, della crescente difficoltà di governare un partito di fatto nuovo, geneticamente modificato sia dalle “new entry” dal centrodestra, sua dall’abbraccio con i Radicali, sfociato nella Rosa nel Pugno.
Anche se nessuno lo dice apertamente, il tentativo di riaggregare le diverse anime socialiste, disperse in partiti e partitini, sia nel centrosinistra che nel centrodestra, nasconde l’ammissione del fallimento della Rosa nel Pugno, e la volontà di cercare equilibri nuovi, in grado di contrapporsi alla capacità di aggregazione del Partito Democratico.
Lonigro ha gettato il sasso in un momento di stanchezza dello Sdi, stanchezza apparsa tangibile dopo le vacanze estive, quando i socialisti non sono riusciti a dare seguito alla richiesta di verifica che prima dell’estate avevano avanzato alla Provincia, muovendo dure critiche al presidente Stallone. Isolati dagli altri partner della coalizione, ed indeboliti al loro interno (i due assessori provinciale non assolsero l’invito del partito a disertare le sedute consiliari, partecipando ai lavori).
Il documento siglato ieri dai maggiorenti socialisti di Palazzo Dogana è importante, anche perché testimonia che è tornato il sereno in seno al gruppo provinciale dello Sdi. Difficile prevedere dove porterà tutto questo: difficilmente a contrasti interni, visto che l’ultimo congresso è stato celebrato in modo convintamene unitario, e che non avrebbe senso dividersi mentre si cerca il massimo dell’unità possibile, anche al di fuori del partito.
Per il momento, c’è la proposta di andare quanto prima ad un’assemblea unitaria per riaggregare le diverse anime socialiste, e chissà che la cosa non possa interessare anche quanti, in seno ai Democratici di Sinistra, non gradiscono il matrimonio con la Margherita.
L’iniziativa di Pino Lonigro, consigliere regionale dello Sdi, consigliere comunale a Foggia e dal qualche giorno presidente dell’assise municipale e consigliere regionale, sta invece provocando più d’un fermento, e non solo a Foggia. Il dibattito sta montando sulle cronache regionali del Corriere del Mezzogiorno, ed era da un pezzo che un confronto politico di spessore extraprovinciale non partiva da un politico foggiano.
Quello di Lonigro è stato, però, soprattutto in provincia di Foggia, il classico sasso nell’acqua stagnante. Dopo l’adesione del portavoce foggiano di Bobo Craxi, Giampiero Protano ed il “rimbrotto” giunto da parte dei Radicali, ecco altri importanti sostegni all’appello di Lonigro, che ha proposto di rilanciare il percorso dell’unità socialista. Ieri mattina è stato il turno degli assessori provinciali Nicola Tanaglione e Bernado Lodispoto, del capogruppo socialista a Palazzo Dogana, Mauro Piccirilli, del presidente della comunità montana del Gargano, e consigliere provinciale. Qualcosa si muove anche ai seno ai Socialisti Autonomisti di Alberto Tedesco.
L’accelerazione impressa da Democratici di Sinistra e Margherita al cammino costituente del Partito Democratico potrebbe far serrare i ranghi ai socialisti, evidentemente timorosi di venire schiacciati e ridimensionati dalla nuova formazione politica.
Le risposte positive che l’iniziativa di Lonigro sta raccogliendo si sono intrecciate con la sua elezione a presidente del consiglio comunale del capoluogo, e sono in molti a ritenere che non si tratti di una coincidenza casuale, nel senso che la rapida crescita delle quotazioni politiche di Lonigro potrebbe preludere anche a nuovi equilibri in seno al partito socialista. Per il momento non ci sono contrasti aperti e tangibili, anche perché nella recente vicenda della designazione del nuovo presidente del consiglio che avrebbe sostituito Emilio Piarullo, l’on. Lello Di Gioia ha assunto una posizione di intelligente equidistanza. Non è però difficile intravedere sfumature diverse, tra le posizioni ed i comportamenti di Di Gioia, e quelli di Lonigro.
Il parlamentare è stato l’autorevole sponsor del passaggio di numerosi esponenti del centrodestra allo Sdi, un passaggio difficile da governare, ma che ha pagato in modo molto pesante sotto il profilo elettorale, soprattutto alle regionali, quando, ottenendo il loro massimo storico in Capitanata, proprio grazie al “contributo” elettorale dei delusi del centrodestra, i socialisti foggiani hanno contribuito in modo decisivo al successo elettorale di Nichi Vendola, che dev’essere pertanto grato due volte a Di Gioia, la prima per aver “fatto la differenza” al momento del voto, la seconda per essersi schierato a suo favore, fin dall’epoca delle primarie.
Lonigro incarna invece l’anima socialista più attenta ai valori della tradizione socialista. Nessun aperto contrasto tra le due anime. Però, le difficoltà incontrate dallo Sdi per la designazione del nuovo presidente del consiglio sono però la spia di un malessere strisciante, della crescente difficoltà di governare un partito di fatto nuovo, geneticamente modificato sia dalle “new entry” dal centrodestra, sua dall’abbraccio con i Radicali, sfociato nella Rosa nel Pugno.
Anche se nessuno lo dice apertamente, il tentativo di riaggregare le diverse anime socialiste, disperse in partiti e partitini, sia nel centrosinistra che nel centrodestra, nasconde l’ammissione del fallimento della Rosa nel Pugno, e la volontà di cercare equilibri nuovi, in grado di contrapporsi alla capacità di aggregazione del Partito Democratico.
Lonigro ha gettato il sasso in un momento di stanchezza dello Sdi, stanchezza apparsa tangibile dopo le vacanze estive, quando i socialisti non sono riusciti a dare seguito alla richiesta di verifica che prima dell’estate avevano avanzato alla Provincia, muovendo dure critiche al presidente Stallone. Isolati dagli altri partner della coalizione, ed indeboliti al loro interno (i due assessori provinciale non assolsero l’invito del partito a disertare le sedute consiliari, partecipando ai lavori).
Il documento siglato ieri dai maggiorenti socialisti di Palazzo Dogana è importante, anche perché testimonia che è tornato il sereno in seno al gruppo provinciale dello Sdi. Difficile prevedere dove porterà tutto questo: difficilmente a contrasti interni, visto che l’ultimo congresso è stato celebrato in modo convintamene unitario, e che non avrebbe senso dividersi mentre si cerca il massimo dell’unità possibile, anche al di fuori del partito.
Per il momento, c’è la proposta di andare quanto prima ad un’assemblea unitaria per riaggregare le diverse anime socialiste, e chissà che la cosa non possa interessare anche quanti, in seno ai Democratici di Sinistra, non gradiscono il matrimonio con la Margherita.
venerdì 27 ottobre 2006
Foggia, il declino di una città
È una crisi continua, inarrestabile, forse irreversibile, quella che sta colpendo Foggia. Il peggio è che nessuno se ne accorge, nessuno riesce a comporre le tessere di un mosaico sempre più inquietante, sempre più drammatico. Eppure basterebbe sfogliare i giornali, ma farlo con il necessario spirito critico, esercizio sempre più difficile, in una città che pare aver perduto anche il gusto della democrazia, e dove ogni critica si trasforma in un casus belli, e dà luogo al solito stillicidio di veleni, ritorsioni, vendette.
L’oscuramento decretato dai commercianti, che l’altro giorno hanno spento le insegne dei negozi per protestare contro l’impressionante recrudescenza delle rapine è la metafora più probante di una città che sembra essersi oscurata anche per ciò che riguarda la propria autocoscienza, la percezione di sé. La manifestazione di protesta è coincisa, non a caso, con il secondo anniversario dell’uccisione di Leonardo Biagini, consigliere comunale di AN: un omicidio di mafia che resta ancora avvolto dal mistero. Una città assediata dalla criminalità, avvolta dalla barbarie.
Certo le tessere del puzzle non basta guardarle, ad una ad una. Bisogna ricomporle che comprendere il devastante significato di episodi, fatti, fenomeni che sembrano in apparenza scollegati tra di loro.
Prendiamo l’emergenza abitativa: 120 e passa famiglie di senza tetto conclamati, tante altre costretta alla forzata convivenza. Decine e decine di giovani coppie che non possono sposarsi perché non trovano una casa, in una città in cui ci si sposa di meno e si fanno meno figli, in una città, dunque, che ha meno futuro. Eppure basterebbe azionare un circuito di solidarietà, visto che le abitazioni sfitte sono più di 5.000. Ma il bando indetto dal comune per reperire alloggi da utilizzare per fronteggiare l’emergenza abitativa è andato praticamente deserto. È mancata la mobilitazione delle coscienze, è mancata la consapevolezza che quel bando era una sfida civile, che come tale andava giocata con ogni mezzo a disposizione, se del caso, andando a bussare porta a porta, coinvolgendo associazioni, parrocchie, comunità, circoscrizioni… cercando, in una parola, di coinvolgere la città.
Com’è andata a finire, invece? Che il Comune non ha trovato di meglio che prendere in fitto per dodici anni, pseudo-abitazioni ricavate da capannoni, a costi peraltro esorbitanti, e superiori alla cifra che sarebbe stato necessario investire, qualora l’amministrazione avesse deciso di costruire ex novo gli alloggi. In controluce, questa vicenda è esemplare anche di un altro inquietante versante della crisi che colpisce la città: il distacco impressionante tra la città reale e la città legale.
Sabato scorso, mentre la città reale era scesa in piazza per protestare contro lo sfruttamento del lavoro e contro il lavoro nero – fenomeno che nel capoluogo dauno non colpisce soltanto gli immigrati, ma anche tanti giovani – il sindaco non ha preso parte alla manifestazione sindacale, non condividendo che Foggia diventasse la capitale simbolica dello sfruttamento, dopo il triste primato attribuitole dalla ormai arcinota inchiesta dell’Espresso. Si può capire l’orgoglio colpito del sindaco, ma proprio per questo avrebbe dovuto scendere in piazza con gli altri manifestanti: per dare un segnale di speranza alla città.
L’insediamento del giovane primo cittadino Orazio Ciliberti, in un municipio governato per un decennio dal centrodestra, era stata salutato dalla città come un segno di speranza: ma è una speranza sempre più delusa.
Le cronache che in questi giorni giungono da palazzo di città sono tanto eloquenti quanto sintomatiche di qualcosa che si è spezzato, di una politica che ormai gira a vuoto, incapace di guardare oltre se stessa, oltre il palazzo. I tre consiglieri comunali ulivisti Trecca, Laricchiuta, Mennuno sono stati sospesi dalla Margherita per avere troppo frequentemente criticato l’operato del sindaco e della giunta proprio sul versante del cambiamento, promesso ma non concretizzato. Ma gli ulivisti hanno semplicemente detto ad alta voce quello che pensano pezzi sempre più consistenti della città reale e dello stesso elettorato di centrosinistra.
Intanto continua a tenere banco il caso del presidente del consiglio socialista, Emilio Piarullo, dimissionario dopo la condanna inflittagli dal Tribunale di Foggia per peculato. Margherita e Democratici di Sinistra avrebbero voluto che le dimissioni fossero formalizzate immediatamente. Piarullo ha ribattuto che le dimissioni sono irrevocabili, ma che nessuno può dettare i tempi ed i modi di un atto politico ed istituzionale che spetta al consiglio comunale. Piarullo ha avuto una battuta al vetriolo il cui destinatario sembra essere verosimilmente il segretario provinciale dei Democratici di Sinistra, vicesindaco ed ultimo entrato nella compagine di giunta: Piarullo ha respinto la “censura da parte di chi, nel Consiglio, è stato paracadutato dalla politica, e non dall’elettorato”.
Frasi pesanti, che la dicono lunga sullo stato di salute sempre più asfittico di una maggioranza tutt’altro che rilanciata dal rimpasto della scorsa primavera, e dall’ingresso in giunta del segretario provinciale diessino.
Certo, non si può dimenticare che la giunta Ciliberti si è trovata ad operare – sia nella sua prima edizione, che nella seconda – in un contesto reso criticissimo dalla voragine lasciata nelle casse comunali dalla precedente gestione di centrodestra, determinata soprattutto da quell’improvvida operazione che fu la Federico II Airways, la compagnia aerea che avrebbe dovuto garantire il rilancio dell’aeroporto Gino Lisa e che è invece fallita sotto una montagna di debiti, che hanno gravato soprattutto sulla casse del Comune e delle aziende municipalizzate.
Per affrontare una così grave congiuntura, ci sarebbe voluto ben altro spirito, Il centrosinistra si è invece cullato troppo sulla bocciatura inappellabile inflitta dall’elettorato al centrodestra, non è riuscito a produrre la necessaria ed improcrastinabile inversione di rotta. Basti dire che rispetto al governo del centrodestra i cosiddetti costi della politica sono aumentati, perché sono notevolmente cresciuti i consigli di amministrazione delle municipalizzate e degli altri enti controllati dal comune.
Che fare, dunque? La speranza è che si sia veramente toccato il fondo. Perché, una volta che si è toccati il fondo, non si può che risalire. Ma è la stessa speranza che Ciliberti ed i suoi avevano nutrito due anni fa, quando salirono per la prima volta le scale che portano nella stanza dei bottoni. Salvo poi a rendersi conto – e con loro, tutta la città - che al peggio non c’è mai fine…
L’oscuramento decretato dai commercianti, che l’altro giorno hanno spento le insegne dei negozi per protestare contro l’impressionante recrudescenza delle rapine è la metafora più probante di una città che sembra essersi oscurata anche per ciò che riguarda la propria autocoscienza, la percezione di sé. La manifestazione di protesta è coincisa, non a caso, con il secondo anniversario dell’uccisione di Leonardo Biagini, consigliere comunale di AN: un omicidio di mafia che resta ancora avvolto dal mistero. Una città assediata dalla criminalità, avvolta dalla barbarie.
Certo le tessere del puzzle non basta guardarle, ad una ad una. Bisogna ricomporle che comprendere il devastante significato di episodi, fatti, fenomeni che sembrano in apparenza scollegati tra di loro.
Prendiamo l’emergenza abitativa: 120 e passa famiglie di senza tetto conclamati, tante altre costretta alla forzata convivenza. Decine e decine di giovani coppie che non possono sposarsi perché non trovano una casa, in una città in cui ci si sposa di meno e si fanno meno figli, in una città, dunque, che ha meno futuro. Eppure basterebbe azionare un circuito di solidarietà, visto che le abitazioni sfitte sono più di 5.000. Ma il bando indetto dal comune per reperire alloggi da utilizzare per fronteggiare l’emergenza abitativa è andato praticamente deserto. È mancata la mobilitazione delle coscienze, è mancata la consapevolezza che quel bando era una sfida civile, che come tale andava giocata con ogni mezzo a disposizione, se del caso, andando a bussare porta a porta, coinvolgendo associazioni, parrocchie, comunità, circoscrizioni… cercando, in una parola, di coinvolgere la città.
Com’è andata a finire, invece? Che il Comune non ha trovato di meglio che prendere in fitto per dodici anni, pseudo-abitazioni ricavate da capannoni, a costi peraltro esorbitanti, e superiori alla cifra che sarebbe stato necessario investire, qualora l’amministrazione avesse deciso di costruire ex novo gli alloggi. In controluce, questa vicenda è esemplare anche di un altro inquietante versante della crisi che colpisce la città: il distacco impressionante tra la città reale e la città legale.
Sabato scorso, mentre la città reale era scesa in piazza per protestare contro lo sfruttamento del lavoro e contro il lavoro nero – fenomeno che nel capoluogo dauno non colpisce soltanto gli immigrati, ma anche tanti giovani – il sindaco non ha preso parte alla manifestazione sindacale, non condividendo che Foggia diventasse la capitale simbolica dello sfruttamento, dopo il triste primato attribuitole dalla ormai arcinota inchiesta dell’Espresso. Si può capire l’orgoglio colpito del sindaco, ma proprio per questo avrebbe dovuto scendere in piazza con gli altri manifestanti: per dare un segnale di speranza alla città.
L’insediamento del giovane primo cittadino Orazio Ciliberti, in un municipio governato per un decennio dal centrodestra, era stata salutato dalla città come un segno di speranza: ma è una speranza sempre più delusa.
Le cronache che in questi giorni giungono da palazzo di città sono tanto eloquenti quanto sintomatiche di qualcosa che si è spezzato, di una politica che ormai gira a vuoto, incapace di guardare oltre se stessa, oltre il palazzo. I tre consiglieri comunali ulivisti Trecca, Laricchiuta, Mennuno sono stati sospesi dalla Margherita per avere troppo frequentemente criticato l’operato del sindaco e della giunta proprio sul versante del cambiamento, promesso ma non concretizzato. Ma gli ulivisti hanno semplicemente detto ad alta voce quello che pensano pezzi sempre più consistenti della città reale e dello stesso elettorato di centrosinistra.
Intanto continua a tenere banco il caso del presidente del consiglio socialista, Emilio Piarullo, dimissionario dopo la condanna inflittagli dal Tribunale di Foggia per peculato. Margherita e Democratici di Sinistra avrebbero voluto che le dimissioni fossero formalizzate immediatamente. Piarullo ha ribattuto che le dimissioni sono irrevocabili, ma che nessuno può dettare i tempi ed i modi di un atto politico ed istituzionale che spetta al consiglio comunale. Piarullo ha avuto una battuta al vetriolo il cui destinatario sembra essere verosimilmente il segretario provinciale dei Democratici di Sinistra, vicesindaco ed ultimo entrato nella compagine di giunta: Piarullo ha respinto la “censura da parte di chi, nel Consiglio, è stato paracadutato dalla politica, e non dall’elettorato”.
Frasi pesanti, che la dicono lunga sullo stato di salute sempre più asfittico di una maggioranza tutt’altro che rilanciata dal rimpasto della scorsa primavera, e dall’ingresso in giunta del segretario provinciale diessino.
Certo, non si può dimenticare che la giunta Ciliberti si è trovata ad operare – sia nella sua prima edizione, che nella seconda – in un contesto reso criticissimo dalla voragine lasciata nelle casse comunali dalla precedente gestione di centrodestra, determinata soprattutto da quell’improvvida operazione che fu la Federico II Airways, la compagnia aerea che avrebbe dovuto garantire il rilancio dell’aeroporto Gino Lisa e che è invece fallita sotto una montagna di debiti, che hanno gravato soprattutto sulla casse del Comune e delle aziende municipalizzate.
Per affrontare una così grave congiuntura, ci sarebbe voluto ben altro spirito, Il centrosinistra si è invece cullato troppo sulla bocciatura inappellabile inflitta dall’elettorato al centrodestra, non è riuscito a produrre la necessaria ed improcrastinabile inversione di rotta. Basti dire che rispetto al governo del centrodestra i cosiddetti costi della politica sono aumentati, perché sono notevolmente cresciuti i consigli di amministrazione delle municipalizzate e degli altri enti controllati dal comune.
Che fare, dunque? La speranza è che si sia veramente toccato il fondo. Perché, una volta che si è toccati il fondo, non si può che risalire. Ma è la stessa speranza che Ciliberti ed i suoi avevano nutrito due anni fa, quando salirono per la prima volta le scale che portano nella stanza dei bottoni. Salvo poi a rendersi conto – e con loro, tutta la città - che al peggio non c’è mai fine…
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giovedì 26 ottobre 2006
Il Bosco dell'Incoronata assediato dalle centrali
Non è solo Manfredonia a rischio, nelle sconsiderate politiche energetiche che si stanno addensando sulla provincia di Foggia. Nel vortice del rischio ambientale c’è anche il capoluogo dauno, ed i suoi pezzi più pregiati, come il parco regionale dell’Incoronata ed il sistema delle borgate, che il documento programmatico preliminare del nuovo PUG di Karrer pone al centro del rilancio della “qualità urbana” della città di Foggia.
Cominciamo, anzi, ricominciamo, dalla centrale di Borgo Mezzanone, che pur ricadendo amministrativamente nel territorio di Manfredonia, sta a due passi dall’Incoronata e da altre Borgate, come Tavernola, sedi di discariche ad elevato impatto ambientale. A completamento di quanto abbiamo già scritto ieri, va detto che la centrale progettata dal gruppo Garavaglia non utilizzerà soltanto biomasse, ma anche l’assai più temibile CDR (combustibile derivato da rifiuti). Sarà, insomma, quel che viene definito, nel gergo tecnico, “termovalorizzatore”: A studiare molto approfonditamente il rischio ambientale connesso alla centrale (contestata sia dal Comune di Foggia che dal Comune di Cerignola) è stata la sezione foggiana del WWF che nel suo sito ospita un interessante documento tecnico, reperibile all’indirizzo http://www.wwfcapitanata.it/AltriProblemi.htm.
“Con una potenza netta di circa 14 MW elettrici, - si legge – il termovalorizzatore prevede un’alimentazione consistente in circa 170.000 tonnellate/anno di combustibile”.
IMPOSSIBILE LA PRODUZIONE LOCALE DI BIOMASSE
Ma esiste in loco una tale quantità di biomasse vegetali? Difficile, visto che per la sola centrale SFIR di Manfredonia, sarebbe necessario, come ha sottolineato il consigliere regionale Angelo Riccardi, che le province di Foggia e Bari si mettessero insieme a produrre soltanto biomasse.
Ma, in assenza di una produzione locale, evidenzia il WWF, “si andrebbe a determinare un traffico di materiali da altre aree geografiche ed un conseguente dispendio di combustibili fossili per il trasporto su media e lunga percorrenza con conseguenti dannose emissioni di gas serra nell’atmosfera”.
Il WWF evidenzia anche “l’impatto ambientale non certo trascurabile derivante dal trasporto dei materiali, sia in entrata (biomasse) sia in uscita (residui e ceneri della combustione). Da valutazioni oggettive, sulla base della documentazione disponibile, si prevede un flusso elevato di automezzi in tutta la fase di funzionamento dell’impianto che ammonterebbe a circa 57 camion di portata media (12 tonnellate di carico utile) al giorno, corrispondenti a ben 114 passaggi al giorno, per i 250 giorni lavorativi all’anno, ai quali sarebbero da aggiungere alcuni camion per il trasporto delle ceneri.”
Ma stiamo parlando ancora di una sola delle centrali protagoniste dell’assedio al parco dell’Incoronata. Il WWF, questa volta assieme a Legambiente, lancia un grido d’allarme anche per quanto si potrebbe verificare proprio nel territorio adiacente al perimetro del nuovo parco regionale. La denuncia è contenuto in un altro articolato ed approfondito documento, che ricostruisce un po’ tutta la storia, drammatica ed incredibile di quella che potremmo definire come una vera e propria aggressione energetica perpretata ai danni della Capitanata.
A RISCHIO IL PARCO REGIONALE DELL’INCORONATA
“ Il Parco Regionale dell’Incoronata appena istituito - affermano Legambiente e WWF di Foggia - corre il rischio di morire prima di nascere.
La liberalizzazione del mercato dell’energia sta producendo, infatti, i suoi effetti allarmanti nella nostra provincia con un conseguente accerchiamento del Parco da parte di una serie d’iniziative critiche per l’ambiente e la salute dei cittadini.
L’AMICA e l’Amgas stanno elaborando un progetto per la realizzazione di una centrale di potenza di 5 ÷ 6 megawatt per produrre energia elettrica utilizzando il Combustibile da Rifiuti prodotto dalla Daunia Ambiente.
Il progetto è nella fase dello studio di fattibilità, ma Legambiente e WWF evidenziano l’intenzione di fare nascere la centrale in un suolo della zona industriale ASI dell’Incoronata di proprietà della società Daunia Ambiente.
Nella stessa area è in dirittura d’arrivo una Centrale a ciclo combinato della Foggia Energia S.r.l. alimentata a gas naturale, per la produzione d’energia elettrica, di potenza pari a circa 400 MW, che prevede anche un elettrodotto a 380 kV di circa 10 km di connessione con la rete nazionale e un gasdotto di circa 10 km di connessione con la rete SNAM in località Carapelle.
Che cosa sta succedendo nella provincia di Foggia? È diventato un terreno di conquista da parte di tutte le società che hanno come obiettivo quello di trarre profitto nonostante i rischi per la salute e per l’ambiente?
A fronte di questo attacco, la classe politica – incalzano le due associazioni ambientaliste, sembra agire in ordine sparso, senza un minimo di sinergia e di concertazione. Le contraddizioni della classe dirigente politica sono enormi perché da un lato spinge per l’Agenzia per l’alimentazione dall’altro fa insediare nel territorio una serie elevata di rischiose installazioni”.
Cominciamo, anzi, ricominciamo, dalla centrale di Borgo Mezzanone, che pur ricadendo amministrativamente nel territorio di Manfredonia, sta a due passi dall’Incoronata e da altre Borgate, come Tavernola, sedi di discariche ad elevato impatto ambientale. A completamento di quanto abbiamo già scritto ieri, va detto che la centrale progettata dal gruppo Garavaglia non utilizzerà soltanto biomasse, ma anche l’assai più temibile CDR (combustibile derivato da rifiuti). Sarà, insomma, quel che viene definito, nel gergo tecnico, “termovalorizzatore”: A studiare molto approfonditamente il rischio ambientale connesso alla centrale (contestata sia dal Comune di Foggia che dal Comune di Cerignola) è stata la sezione foggiana del WWF che nel suo sito ospita un interessante documento tecnico, reperibile all’indirizzo http://www.wwfcapitanata.it/AltriProblemi.htm.
“Con una potenza netta di circa 14 MW elettrici, - si legge – il termovalorizzatore prevede un’alimentazione consistente in circa 170.000 tonnellate/anno di combustibile”.
IMPOSSIBILE LA PRODUZIONE LOCALE DI BIOMASSE
Ma esiste in loco una tale quantità di biomasse vegetali? Difficile, visto che per la sola centrale SFIR di Manfredonia, sarebbe necessario, come ha sottolineato il consigliere regionale Angelo Riccardi, che le province di Foggia e Bari si mettessero insieme a produrre soltanto biomasse.
Ma, in assenza di una produzione locale, evidenzia il WWF, “si andrebbe a determinare un traffico di materiali da altre aree geografiche ed un conseguente dispendio di combustibili fossili per il trasporto su media e lunga percorrenza con conseguenti dannose emissioni di gas serra nell’atmosfera”.
Il WWF evidenzia anche “l’impatto ambientale non certo trascurabile derivante dal trasporto dei materiali, sia in entrata (biomasse) sia in uscita (residui e ceneri della combustione). Da valutazioni oggettive, sulla base della documentazione disponibile, si prevede un flusso elevato di automezzi in tutta la fase di funzionamento dell’impianto che ammonterebbe a circa 57 camion di portata media (12 tonnellate di carico utile) al giorno, corrispondenti a ben 114 passaggi al giorno, per i 250 giorni lavorativi all’anno, ai quali sarebbero da aggiungere alcuni camion per il trasporto delle ceneri.”
Ma stiamo parlando ancora di una sola delle centrali protagoniste dell’assedio al parco dell’Incoronata. Il WWF, questa volta assieme a Legambiente, lancia un grido d’allarme anche per quanto si potrebbe verificare proprio nel territorio adiacente al perimetro del nuovo parco regionale. La denuncia è contenuto in un altro articolato ed approfondito documento, che ricostruisce un po’ tutta la storia, drammatica ed incredibile di quella che potremmo definire come una vera e propria aggressione energetica perpretata ai danni della Capitanata.
A RISCHIO IL PARCO REGIONALE DELL’INCORONATA
“ Il Parco Regionale dell’Incoronata appena istituito - affermano Legambiente e WWF di Foggia - corre il rischio di morire prima di nascere.
La liberalizzazione del mercato dell’energia sta producendo, infatti, i suoi effetti allarmanti nella nostra provincia con un conseguente accerchiamento del Parco da parte di una serie d’iniziative critiche per l’ambiente e la salute dei cittadini.
L’AMICA e l’Amgas stanno elaborando un progetto per la realizzazione di una centrale di potenza di 5 ÷ 6 megawatt per produrre energia elettrica utilizzando il Combustibile da Rifiuti prodotto dalla Daunia Ambiente.
Il progetto è nella fase dello studio di fattibilità, ma Legambiente e WWF evidenziano l’intenzione di fare nascere la centrale in un suolo della zona industriale ASI dell’Incoronata di proprietà della società Daunia Ambiente.
Nella stessa area è in dirittura d’arrivo una Centrale a ciclo combinato della Foggia Energia S.r.l. alimentata a gas naturale, per la produzione d’energia elettrica, di potenza pari a circa 400 MW, che prevede anche un elettrodotto a 380 kV di circa 10 km di connessione con la rete nazionale e un gasdotto di circa 10 km di connessione con la rete SNAM in località Carapelle.
Che cosa sta succedendo nella provincia di Foggia? È diventato un terreno di conquista da parte di tutte le società che hanno come obiettivo quello di trarre profitto nonostante i rischi per la salute e per l’ambiente?
A fronte di questo attacco, la classe politica – incalzano le due associazioni ambientaliste, sembra agire in ordine sparso, senza un minimo di sinergia e di concertazione. Le contraddizioni della classe dirigente politica sono enormi perché da un lato spinge per l’Agenzia per l’alimentazione dall’altro fa insediare nel territorio una serie elevata di rischiose installazioni”.
domenica 24 settembre 2006
Come sarà la nuova Foggia
Come sarà la nuova Foggia? Il Documento programmatico preliminare approvato a marzo dal Consiglio Comunale, che ha integralmente recpito la proposta dell’assessore all’urbanistica, Ciro Mundi e dell’arch. Karrer, progettista, fornisce una risposta puntuale e nello stesso tempo ambiziosa, di alto profilo, a questa domanda. Il progetto di città, tratteggiato dal Dpp, è basato su un assetto insediativo policentrico: il capoluogo e tanti altri poli, che sono stati individuati soprattutto nelle borgate, “perché - come ebbe a sostenere Karrer presentando il suo lavoro al consiglio comunale - occorre non solo salvaguardare lo spazio rurale, ma anche collegarlo alla città, una città aperta al territorio più vasto”. Il DPP si prefigge, quindi, l’obiettivo di valorizzare l’ambiente naturale e culturale (Borgo Incoronata, Borgo Segezia, Quadrone delle Vigne) e il sistema delle risorse archeologiche (Parchi archeologici “Arpi” ed “ex Ippodromo”); potenziare la rete infrastrutturale (Alta velocità, nuovo svincolo A14, asta di collegamento veloce tra l’A14 e la superstrada Foggia – Candela, metropolitana di superficie); valorizzare le aree di insediamento produttivo creando i Parchi di attività.
Infine, il documento riserva particolare attenzione al tema del rinnovo urbano, attraverso quella che Karrer, in sede di presentazione, definì “grande sfida della città”: la riqualificazione dell’ingente patrimonio edilizio, attività che deve essere correlata alle politiche di espansione. In questa prospettiva, il DPP ed il PUG prefigurano un sensibile cambiamento del rapporto tra pubblico e privato, con il soggetto privato che concorre alla realizzazione della “città pubblica”.
Infine, il documento riserva particolare attenzione al tema del rinnovo urbano, attraverso quella che Karrer, in sede di presentazione, definì “grande sfida della città”: la riqualificazione dell’ingente patrimonio edilizio, attività che deve essere correlata alle politiche di espansione. In questa prospettiva, il DPP ed il PUG prefigurano un sensibile cambiamento del rapporto tra pubblico e privato, con il soggetto privato che concorre alla realizzazione della “città pubblica”.
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I destini di Foggia si giocano sul PUG
Il PUG prospettato da Karrer piace ai costruttori foggiani. Perché guarda, diversamente da quello Benevolo, con la stessa attenzione alle prospettive di espansione edilizia della città, a quelle di riqualificazione, ed alla necessità di una maggiore qualità urbana, attraverso una diffusa ripresa delle opere pubbliche, ormai ferme al palo da molti anni.
Quel che piace meno è la cautela con cui si sta procedendo nella direzione dell’approvazione e dell’adozione definitiva dello strumento urbanistico. A marzo il consiglio comunale ha approvato il documento programmatico preliminare che, come dice il nome, è ancora qualcosa di preliminare, si limita a descrivere una ipotesi di massima, la cornice entro la quale andranno poi a collocarsi le scelte definitiva del PUG.
Non bisogna dimenticare che il PUG è molto diverso dal vecchio piano regolatore generale, che era quasi sempre “appiattito” sull’edilizia. Al contrario, il PUG si caratterizza per essere un vero e proprio progetto di “governo del territorio”. In questo senso, il documento programmatico preliminare anticipa le previsioni strutturali del Piano urbanistico generale, e avvia la programmazione urbanistica, gettando le basi per il futuro assetto che la città dovrà assumere.
In sostanza, la pianificazione urbanistica viene distinta in due parti, quella dell’assetto del territorio che è stata in qualche modo già determinata dal Documento Programmatico Preliminare, e quella successiva, di tipo operativo, che coincide con il Pug.
Il Documento ha tuttavia già indicato con sufficiente chiarezza la “posta in palio” in riferimento alle volumetrie complessive della “nuova Foggia”: il 10 cento delle volumetrie sarà aggiuntivo, sarà realizzato cioè in aggiunta ed in espansione rispetto agli attuali confini dell’abitato. Anche Karrer, così come Benevolo, riserva un’importanza decisiva al tema della riqualificazione urbana: il 59 per cento delle abitazioni (si tratta di una cifra molto alta) andrà riqualificato, mentre il 35 per cento è affidato allo “stato dell’arte” del piano Benevolo: progetti e piani presentati, su cui il Comune deve ancora pronunciarsi. Si tratta come si vede di prospettive di attività edilizia estremamente elevate, se a queste vanno aggiunte quelle prodotte dagli interventi pubblici. Probabilmente mai il capoluogo dauno si è trovato davanti a prospettive così entusiasmanti.
Ma se le cose stanno così, come spiegare la crescente insofferenza dei costruttori? C’è una sola risposta a questo interrogativo, con la necessità di far presto. Bisogna stringere i tempi, un po’ per evitare che l’adozione del PUG possa essere procrastinata oltre la fine della legislatura, un po’ perché l’attività resta, effettivamente, asfittica.
Però Karrer è uno che crede fermamente nel proverbio che vuole che la “fretta da i figli ciechi”. Vuole andare con i piedi di piombo anche perché, stando a quanto si dice a mezza bocca nei corridoio di Palazzo di Città, sarebbero state rilevate alcune difformità tra le cartografie del piano Benevolo e lo stato effettivo della città, che renderebbero necessari alcuni approfondimenti.
C’è poi da decidere che fare rispetto alla quota – il 35 per cento, tutt’altro che insignificante – che si riferisce a piani e progetti “in sofferenza” presso gli uffici municipali, e che riguarderebbe soprattutto le aree meridionali: via Trinitapoli, via Bari, il rione Spelonca.
Insomma da parte dei costruttori si comincia a mordere il freno. I “grandi” (Zanasi, Trisciuoglio, Pierino Russo, Perrone, Zammarano) hanno deciso che è giunto il momento di rompere gli indugi e chiedere all’amministrazione comunale impegni precisi.
Diversamente, potrebbe anche finire prematuramente la lune di miele col centrosinistra, e gli industriali potrebbero tornare agli antichi amori. Anzi, potrebbero decidere di scendere in campo più o meno direttamente. Non è un caso che tra i nomi dei possibili candidati di centrodestra, il più accreditato sia quello di Massimo Zanasi, primario ospedaliero, ma soprattutto fratello del costruttore Eliseo.
Quel che piace meno è la cautela con cui si sta procedendo nella direzione dell’approvazione e dell’adozione definitiva dello strumento urbanistico. A marzo il consiglio comunale ha approvato il documento programmatico preliminare che, come dice il nome, è ancora qualcosa di preliminare, si limita a descrivere una ipotesi di massima, la cornice entro la quale andranno poi a collocarsi le scelte definitiva del PUG.
Non bisogna dimenticare che il PUG è molto diverso dal vecchio piano regolatore generale, che era quasi sempre “appiattito” sull’edilizia. Al contrario, il PUG si caratterizza per essere un vero e proprio progetto di “governo del territorio”. In questo senso, il documento programmatico preliminare anticipa le previsioni strutturali del Piano urbanistico generale, e avvia la programmazione urbanistica, gettando le basi per il futuro assetto che la città dovrà assumere.
In sostanza, la pianificazione urbanistica viene distinta in due parti, quella dell’assetto del territorio che è stata in qualche modo già determinata dal Documento Programmatico Preliminare, e quella successiva, di tipo operativo, che coincide con il Pug.
Il Documento ha tuttavia già indicato con sufficiente chiarezza la “posta in palio” in riferimento alle volumetrie complessive della “nuova Foggia”: il 10 cento delle volumetrie sarà aggiuntivo, sarà realizzato cioè in aggiunta ed in espansione rispetto agli attuali confini dell’abitato. Anche Karrer, così come Benevolo, riserva un’importanza decisiva al tema della riqualificazione urbana: il 59 per cento delle abitazioni (si tratta di una cifra molto alta) andrà riqualificato, mentre il 35 per cento è affidato allo “stato dell’arte” del piano Benevolo: progetti e piani presentati, su cui il Comune deve ancora pronunciarsi. Si tratta come si vede di prospettive di attività edilizia estremamente elevate, se a queste vanno aggiunte quelle prodotte dagli interventi pubblici. Probabilmente mai il capoluogo dauno si è trovato davanti a prospettive così entusiasmanti.
Ma se le cose stanno così, come spiegare la crescente insofferenza dei costruttori? C’è una sola risposta a questo interrogativo, con la necessità di far presto. Bisogna stringere i tempi, un po’ per evitare che l’adozione del PUG possa essere procrastinata oltre la fine della legislatura, un po’ perché l’attività resta, effettivamente, asfittica.
Però Karrer è uno che crede fermamente nel proverbio che vuole che la “fretta da i figli ciechi”. Vuole andare con i piedi di piombo anche perché, stando a quanto si dice a mezza bocca nei corridoio di Palazzo di Città, sarebbero state rilevate alcune difformità tra le cartografie del piano Benevolo e lo stato effettivo della città, che renderebbero necessari alcuni approfondimenti.
C’è poi da decidere che fare rispetto alla quota – il 35 per cento, tutt’altro che insignificante – che si riferisce a piani e progetti “in sofferenza” presso gli uffici municipali, e che riguarderebbe soprattutto le aree meridionali: via Trinitapoli, via Bari, il rione Spelonca.
Insomma da parte dei costruttori si comincia a mordere il freno. I “grandi” (Zanasi, Trisciuoglio, Pierino Russo, Perrone, Zammarano) hanno deciso che è giunto il momento di rompere gli indugi e chiedere all’amministrazione comunale impegni precisi.
Diversamente, potrebbe anche finire prematuramente la lune di miele col centrosinistra, e gli industriali potrebbero tornare agli antichi amori. Anzi, potrebbero decidere di scendere in campo più o meno direttamente. Non è un caso che tra i nomi dei possibili candidati di centrodestra, il più accreditato sia quello di Massimo Zanasi, primario ospedaliero, ma soprattutto fratello del costruttore Eliseo.
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sabato 24 giugno 2006
Si torna a parlare di sviluppo
Si torna finalmente a parlare di sviluppo del territorio. Tra veleni, polemiche e perfino timori di turbative all’ordine pubblico, ma si torna a parlarne. Da anni non succedeva che sull’agenda delle istituzioni locali si addensassero in così pochi giorni tanti nodi. Alcuni positivi, altri meno, tutti, comunque, da sciogliere e presto, nella direzione di una ripresa da troppo tempo rinviata.
L’approvazione in consiglio provinciale dell’accordo quadro di programma, i casi della centrale a turbogas di San Severo, del parco eolico di Ponte Albanito, ma anche quello – di segno positivo – del parco eolico delle Ferrovie del Gargano ridanno vigore ad una metafora che da ormai diverso tempo sembrava essere diventata obsoleta: quella d’una Capitanata laboratorio, che vede assieme ad alcune ombre, finalmente anche una qualche luce proiettata verso il futuro.
Attenzione, però. È proprio la disomogeneità dei diversi “nodi” a denunciare l’assenza perdurante di una cabina di regia delle politiche di governo dell’economia. Si va avanti in ordine sparso, e non è un caso che il nodo più delicato da sciogliere riguardi l’energia, comparto in cui è tradizionalmente molto difficile pervenire ad una strategia territoriale unitaria.
Prendiamo San Severe, dove la giunta comunale e la popolazione sono da tempo in lotta contro l’ipotesi di realizzare una centrale a turbogas per la produzione di energia elettrica, i cui lavori preliminari dovrebbero cominciare oggi. L’esecutivo cittadino si è riunito in seduta permanente in un camper sistemato proprio nella zona in cui dovrebbe sorgere la centrale. L’assessore regionale all’ecologia, Losappio, ha dichiarato inaccettabile l’ipotesi di avvio dei lavori, in quanto la Regione ha chiesto al Ministero di riesaminare l’autorizzazione a suo tempo concessa alla Merant, che l’ha a sua volta ceduta ad un consorzio di imprenditori lombardi, l’Enplus.
L’impressione è che si stia ripetendo uno schema che purtroppo la provincia di Foggia conosce già molto bene, e che ha sperimentato sulla propria pelle quando, negli anni Sessanta, l’enorme patrimonio di gas metano rinvenuto nelle viscere dell’Appennino Dauno partì per altri lidi per sostenere processi di industrializzazione che andavano maturando in altre zone, della Puglia e del resto del Mezzogiorno.
Sulla questione è intervenuto con una dura dichiarazione anche il consigliere regionale dell’Udeur, Giovanni De Leonardis. Giusta la solidarietà espressa alle popolazioni, meno giusto il richiamo alla centrale a turbogas di Candela, di cui De Leonardis sottolinea nel comunicato la dubbia efficacia.
Ci permettiamo di dissentire, perché forse proprio il caso di Candela rappresenta un modello, su cui riflettere. Partiamo da una considerazione elementare: nessuno puà pensare di costruire impianti per la produzione di energia per decreto, passando sulla testa delle popolazioni.
È però anche vero che qui non stiamo ragionando di impianti nucleari, o a petrolio, ma di turbogas e di energia eolica, ovvero di strutture a ridotto impatto ambientale. L’azienda che ha realizzato l’impianto di Candela si è preoccupata fin da subito di stabilire un rapporto positivo con la popolazione, spiegandone i vantaggi, svolgendo attività di comunicazione mirate. Il risultato importante che si è ottenuti a Candela è che la centrale serve già ad alimentare le imprese che si stanno insediando nella vicina area industriale,
Questa “concertazione” non si è avuta a San Severo (anche se in verità dicono gli amministratori della Enplus di averla sempre chiesta, e mai ottenuta).
Il problema non riguarda soltanto la sostanza, ma il metodo, che è fondamentale quando si affronta problemi ambientali.
A confermare che non si può fare di ogni erba un fascio, giungono anche due vicende di questi giorni, ancora dal fronte energetico, e precisamente quello eolico. A Foggia infuria la polemica per la costruzione del parco eolico di Albanito, il sindaco e la giunta sono accusati di aver fatto le cose senza la necessarie e preventiva consultazione delle forze interessate, a cominciare dalla cittadinanza.
Un esempio di segno inverso giunge invece da Volturino, dove ha ottenuto il parere favorevole di compatibilità ambientale il parco eolico che verrà realizzato dalle Ferrovie del Gargano, e che servirà ad alimentare i treni di quest’azienda, riducendo la dipendenza energetica dall’esterno.
La morale è che, quando si concerta seriamente, i risultati arrivano. Al contrario quando si vogliono fare le cose alla chetichella, si ingenerano diffidenze e sospetti poi molto difficili da smontare.
Il metodo, insomma, è sostanza, e lo sarà anche per quanto riguarda l’iter dell’accordo di programma quadro. Non dimentichiamo che quella approvata venerdì scorso dal consiglio provinciale è ancora una bozza, che deve essere adesso sottoposta al vaglio e quindi alla ratifica della Regione. Mai come nei prossimi mesi, si tratterà di marciare uniti – istituzioni locali, partiti, sindacati, imprese – superando il clima di polemiche e di contrapposizioni che ha accompagnato le cronache politiche degli ultimi mesi.
Da Bari hanno già fatto sapere che non esistono risorse sufficienti per finanziare tutte le opere e le infrastrutture inserite nella bozza: occorrerà rivedere, rimaneggiare, smussare. Ed occorrerà farlo in fretta, per essere pronti ad intercettare le risorse previste dal prossimo quadro comunitario di sostegno che avrà inizio nel 2007.
L’approvazione in consiglio provinciale dell’accordo quadro di programma, i casi della centrale a turbogas di San Severo, del parco eolico di Ponte Albanito, ma anche quello – di segno positivo – del parco eolico delle Ferrovie del Gargano ridanno vigore ad una metafora che da ormai diverso tempo sembrava essere diventata obsoleta: quella d’una Capitanata laboratorio, che vede assieme ad alcune ombre, finalmente anche una qualche luce proiettata verso il futuro.
Attenzione, però. È proprio la disomogeneità dei diversi “nodi” a denunciare l’assenza perdurante di una cabina di regia delle politiche di governo dell’economia. Si va avanti in ordine sparso, e non è un caso che il nodo più delicato da sciogliere riguardi l’energia, comparto in cui è tradizionalmente molto difficile pervenire ad una strategia territoriale unitaria.
Prendiamo San Severe, dove la giunta comunale e la popolazione sono da tempo in lotta contro l’ipotesi di realizzare una centrale a turbogas per la produzione di energia elettrica, i cui lavori preliminari dovrebbero cominciare oggi. L’esecutivo cittadino si è riunito in seduta permanente in un camper sistemato proprio nella zona in cui dovrebbe sorgere la centrale. L’assessore regionale all’ecologia, Losappio, ha dichiarato inaccettabile l’ipotesi di avvio dei lavori, in quanto la Regione ha chiesto al Ministero di riesaminare l’autorizzazione a suo tempo concessa alla Merant, che l’ha a sua volta ceduta ad un consorzio di imprenditori lombardi, l’Enplus.
L’impressione è che si stia ripetendo uno schema che purtroppo la provincia di Foggia conosce già molto bene, e che ha sperimentato sulla propria pelle quando, negli anni Sessanta, l’enorme patrimonio di gas metano rinvenuto nelle viscere dell’Appennino Dauno partì per altri lidi per sostenere processi di industrializzazione che andavano maturando in altre zone, della Puglia e del resto del Mezzogiorno.
Sulla questione è intervenuto con una dura dichiarazione anche il consigliere regionale dell’Udeur, Giovanni De Leonardis. Giusta la solidarietà espressa alle popolazioni, meno giusto il richiamo alla centrale a turbogas di Candela, di cui De Leonardis sottolinea nel comunicato la dubbia efficacia.
Ci permettiamo di dissentire, perché forse proprio il caso di Candela rappresenta un modello, su cui riflettere. Partiamo da una considerazione elementare: nessuno puà pensare di costruire impianti per la produzione di energia per decreto, passando sulla testa delle popolazioni.
È però anche vero che qui non stiamo ragionando di impianti nucleari, o a petrolio, ma di turbogas e di energia eolica, ovvero di strutture a ridotto impatto ambientale. L’azienda che ha realizzato l’impianto di Candela si è preoccupata fin da subito di stabilire un rapporto positivo con la popolazione, spiegandone i vantaggi, svolgendo attività di comunicazione mirate. Il risultato importante che si è ottenuti a Candela è che la centrale serve già ad alimentare le imprese che si stanno insediando nella vicina area industriale,
Questa “concertazione” non si è avuta a San Severo (anche se in verità dicono gli amministratori della Enplus di averla sempre chiesta, e mai ottenuta).
Il problema non riguarda soltanto la sostanza, ma il metodo, che è fondamentale quando si affronta problemi ambientali.
A confermare che non si può fare di ogni erba un fascio, giungono anche due vicende di questi giorni, ancora dal fronte energetico, e precisamente quello eolico. A Foggia infuria la polemica per la costruzione del parco eolico di Albanito, il sindaco e la giunta sono accusati di aver fatto le cose senza la necessarie e preventiva consultazione delle forze interessate, a cominciare dalla cittadinanza.
Un esempio di segno inverso giunge invece da Volturino, dove ha ottenuto il parere favorevole di compatibilità ambientale il parco eolico che verrà realizzato dalle Ferrovie del Gargano, e che servirà ad alimentare i treni di quest’azienda, riducendo la dipendenza energetica dall’esterno.
La morale è che, quando si concerta seriamente, i risultati arrivano. Al contrario quando si vogliono fare le cose alla chetichella, si ingenerano diffidenze e sospetti poi molto difficili da smontare.
Il metodo, insomma, è sostanza, e lo sarà anche per quanto riguarda l’iter dell’accordo di programma quadro. Non dimentichiamo che quella approvata venerdì scorso dal consiglio provinciale è ancora una bozza, che deve essere adesso sottoposta al vaglio e quindi alla ratifica della Regione. Mai come nei prossimi mesi, si tratterà di marciare uniti – istituzioni locali, partiti, sindacati, imprese – superando il clima di polemiche e di contrapposizioni che ha accompagnato le cronache politiche degli ultimi mesi.
Da Bari hanno già fatto sapere che non esistono risorse sufficienti per finanziare tutte le opere e le infrastrutture inserite nella bozza: occorrerà rivedere, rimaneggiare, smussare. Ed occorrerà farlo in fretta, per essere pronti ad intercettare le risorse previste dal prossimo quadro comunitario di sostegno che avrà inizio nel 2007.
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